venerdì 30 aprile 2010

A Paolo Meriglia

La Federazione della Sinistra di Melfi esprime le più sentite condoglianze alla famiglia di Paolo Meriglia, operaio della FIAT di Melfi, scomparso questa notte sul posto di lavoro a causa di un infarto.
Questo drammatico episodio ripropone il tema relativo alla necessità di insediare un presidio del 118 nella zona industriale di San Nicola di Melfi. Peccato che per parlare di determinate questioni, sopratutto quelle legate al mondo del lavoro, debbano accadere episodi terribili come questi.

Di fronte a queste disgrazie ci si rende sempre più conto di quanto un lavoratore, un operaio, sia sempre più merce e sempre meno uomo.

Buon viaggio Paolo.

giovedì 29 aprile 2010

Io sono Comunista

Non sono mai stato un tipo molto impulsivo. Cerco sempre di far valere la forza della ragione, sulle altre forze che la natura ha messo al servizio dell'Uomo. Per questo non ho commentato prima, la nomina della neo-giunta regionale.
Ora posso affermare che sono contento di non avere rappresentanti in questo consiglio regionale. La nomina dei neo-assessori regionali è espressione dell'atteggiamento arrogante di chi è al potere e ha tutte le intenzioni di esercitarlo senza se e senza ma. Potrebbe balzare all'occhio lo spostamento al centro (destra, direi a questo punto) dell'asse politica (o affaristica) della giunta regionale, in coerenza (termine tra l'altro molto usato nella passata campagna elettorale) con lo scenario nazionale. I più maliziosi potrebbero pensare che questa mia, sia mossa da un senso di frustrazione e invidia in quanto la Federazione della Sinistra non è riuscita ad eleggere un solo rappresentante in consiglio regionale. Tuttavia i più malevoli resteranno delusi, in virtù del fatto che la nostra partecipazione alla coalizione di centrosinistra era regolato da un accordo tecnico che implicava la non partecipazione alla giunta in nessun caso.
La Federazione, ora, ha la possibilità di poter fare un opposizione veritiera alla mal gestione della regione. E' inutile prendere in giro l'intelligenza della gente dicendo che l'opposizione si possa fare anche "dal di dentro" della coalizione di governo. E' una scusa che giustifica la partecipazione consapevole al governo del malaffare. Tutto qui.

Senza trascurare le ovvie difficoltà nel fare opposizione fuori dalle istituzioni (che è cosa ben diversa che fare l'opposizione all'interno di una coalizione), la Federazione ora ha l'obbligo di radicarsi sul territorio (termine anche questo usato molto nella propaganda fine a se stessa), di riconquistarsi il consenso, di operare in conformità con gli ideali da cui è mossa: Il Comunismo. Non oso immaginare quante persone contemporaneamente abbiano "storto il naso" o abbiano sorriso sdegnosamente, di fronte a questa mia affermazione, ma permettetemi di ribadire: il Comunismo. Quello con la C maiuscola. Quello del XXI secolo. Non capisco cosa o chi abbia stabilito la fine degli ideali, tuttavia sono fermamente convinto, da buon militante di federazione, che la rivoluzione in senso socialista, della società sia, non solo possibile, ma naturale. Quando mi confronto su questo tema mi si risponde spesso che il Comunismo è fallito perchè è fallita l'Unione Sovietica e quindi il muro di Berlino e quindi quel tipo di società ecc ecc...Volendo risparmiarvi le mie remore su questa annosa questione (correreste il rischio di passare intere ore a leggere le mie motivazioni), potrei rispondere, per la logica dell' "occhio per occhio e dente per dente", come il Capitalismo sia fallito non solo nel 1929, ma anche nel 2008 (circa ottanta anni dopo) e come, nei periodi dichiaratamente "acritici", la situazione abbia sempre avuto un "trend" di crescita negativo o comunque pari a zero.
Allora perchè ci si ostina ad adottare un modello economico-finanziario fallimentare? Perchè è il meno peggio? Ma come possiamo saperlo se nell'Europa della NATO non abbiamo mai avuto esempi di economia socialista?
Logicamente la risposta non risiede nella "meno-peggioranza" (scusate il neologismo) del sistema Capitalistico, ma nell'interesse dei pochi (ricchi) a discapito dei molti (poveri). Chi è quel folle che rifiuterebbe un sistema economico in cui, con un po' di intraprendenza e le giuste conoscenze, gli permetterebbe di arricchirsi al massimo con il minimo degli sforzi? Giusto uno: un Comunista. So che starete, di nuovo, ridendo a questa mia affermazione, ma un Comunista, sempre quello con la C maiuscola, è l'unico che si opporrebbe con tutta la sua forza a questo stato di cose. La lotta di classe, la stessa suddivisione della società in classi è palese ed evidente. Con la caduta del muro di Berlino si è pensato che fossero caduti, sotto i colpi di piccone, anche gli ideali che avevano caratterizzato la fine del XIX e quasi tutto il XX secolo. Ma perchè questo?
Possiamo mettere in discussione le democrazie socialiste e i loro annessi partiti, ma perchè l'Italia deve subire le scelte errate di alti? Perchè il Comunismo non è attuabile in Italia? Perchè, forse, siamo gli "amichetti" degli Stati Uniti d'America? Perchè facciamo parte della NATO?
Qualcuno mi spieghi, ideologicamente, perchè non possiamo provare ad avere una società ad economia Socialista. Perchè non proviamo ad essere amici della Repubblica di Cuba? Una Repubblica Socialista. Perchè non ci confrontiamo con loro? Siamo forse Xenofobi? O razzisti? Eppure nella nostra Costituzione si recita l'uguaglianza, la pari condizioni di tutti gli esseri umani. Eppure ci sono persone nel mondo che non sono, da noi, considerate come noi. Da questo si evince una grande ipocrisia che quasi può essere considerata una condizione universale dell'intera umanità.
La lotta di classe non è combattuta solo dal cosiddetto Proletariato, ma anche dai Capitalisti e questi ultimi la loro battaglia l'hanno vinta ormai da tempo. Tuttavia la lotta di classe non è una lotta convenzionale, perciò niente e nessuno può impedirci di riprenderla.
Ora però, la cosa, a mio avviso più banale, che possa succedere è quella di essere attaccato sull'uso di alcuni termini e/o espressioni, come: "lotta di classe", "Comunismo", "proletariato", "Capitalismo", ecc. La vittoria del capitalismo sul proletariato è consistita anche in questo: far credere alle masse che ormai alcune cose fossero superate, che non ci fossero più classi sociali, che si potesse raggiungere il benessere "semplicemente" accendendo un mutuo o richiedendo un piccolo finanziamento a tasso agevolato.
C'è un detto che recita: "non è necessario distruggere il proprio nemico, ma solo la sua volontà di combattere."
Beh, care Compagne e cari Compagni, il morale è molto basso. Non è forse arrivato il momento di riflettere seriamente su quanto sta accadendo?

¡Venceremos!

Maurizio Ceccio.

martedì 27 aprile 2010

RIUNIONE RSU FIOM SATA E INDOTTO CON RINALDINI SUL PIANO INDUSTRIALE


Lavoratrici e lavoratori, si è tenuta il giorno 23 Aprile 2010 la riunione dei Delegati FIOM della SATA e dell’INDOTTO alla presenza del Segr. Generale della FIOMCGIL Gianni Rinaldini, per fare un primo esame del nuovo Piano Industriale della Fiat presentato a Torino.

L’annuncio della Fiat di produrre 1.400.000 automobili dal 2014 è un indubbio elemento di novità, del quale prendiamo atto positivamente, anche perché il Piano annunciato è una sostanziale modifica di quanto era previsto in precedenza dall’Azienda.

Nello stesso tempo, rimane invece incomprensibile e inaccettabile la scelta di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, tanto più a fronte di una ipotesi di crescita della produzione totale di automobili. Non condividiamo piani industriali che prevedano la chiusura di un intero stabilimento e il licenziamento di tutti i suoi dipendenti.

Per lo stabilimento di Melfi è prevista la realizzazione di una nuova Punto dal 2013 che entrerà a regime nel 2014 con una previsione di produzione di 400.000 vetture annue sempre che il mercato registri una significativa ripresa.

Va sottolineato che per il 2010, e per il primo semestre 2011, si accentua il calo della produzione, con una previsione di caduta del mercato dell’auto del 10% in Europa e del 18% in Italia. Questo significa che i prossimi mesi saranno segnati da un esteso e diffuso ricorso alla Cassa integrazione per gran parte degli stabilimenti Fiat e del suo Indotto.

Inoltre, nulla è stato detto sull’INDOTTO dell’auto e sulle conseguenti ricadute occupazionali che dovranno essere oggetto di uno specifico incontro. La FIOM-CGIL, unitamente ai Delegati, ritiene che la richiesta della FIAT di aumentare la produttività e la flessibilità deve essere necessariamente oggetto di una trattativa vera, senza imposizioni unilaterali, e comunque non si può pensare ad un peggioramento delle condizioni di lavoro e di salario, bensì a un significativo aumento dell’occupazione.

La FIOM-CGIL, per queste ragioni, propone alle altre organizzazioni sindacali di promuovere nei prossimi giorni le Assemblee Sindacali Unitarie per informare direttamente i lavoratori del Piano Fiat.

Potenza 26 Aprile 2010
FIOM-CGIL Basilicata

domenica 25 aprile 2010

25 Aprile 2010

Come scrive qualcosa, che non sia banale, sul 25 Aprile? Non ho la presunzione di scrivere qualcosa di profondo su questo giorno, non ne sarei, pur volendo, in grado. Tuttavia è una domanda che mi pongo da un po'.
Sono sempre stato convinto che il giorno celebrativo di ogni evento, ogni anniversario, fosse da intendere come l'appuntamento conclusivo di un percorso intrapreso in un anno. Quindi non un occasionale giorno in cui celebrare riti o rituali, in cui meccanicamente fare o dire qualcosa, ma un giorno in cui fare un bilancio dell'anno trascorso, un giorno in cui constatare se ciò che si commemora esiste davvero e se ha valore.
Sono trascorsi sessantacinque anni dalla liberazione dal Nazifascismo e dal trionfo delle formazioni Partigiane. La lotta di liberazione ci ha regalato la Costituzione antifascista e la Repubblica laica fondata sul lavoro, ma quanto è rimasto della Storia di quel periodo?
Oggi riusciamo a comprendere il pieno significato del sacrificio di migliaia di persone che hanno dato la propria vita, per permetterci di essere Liberi di mandare al potere, anche un uomo inetto come Berlusconi e la sua banda? Il sacrificio di tanti Partigiani, per la Libertà di essere razzisti e xenofobi? La Libertà, per poter puntare il dito contro "lo straniero" e accusarlo dei essere la causa prima dei mali del nostro Paese?
Per questo hanno resistito, e hanno dato la propria vita, donne e uomini protagonisti degli anni più bui della nostra storia.
Uno Stato, il nostro, che più che essere l'espressione di quello che fu l'esperienza della lotta Partigiana, è la rappresentazione di quello che portò allo sfacelo l'Italia del secolo scorso: la corruzione, uno stupido nazionalismo che, per definizione, è sempre fine a se stesso, il razzismo e il fascismo.
Morti invano. Sono stati degli stupidi. I tanti Partigiani che credevano negli ideali di giustizia, di libertà e solidarietà tra i popoli, sono stati degli stupidi. Morti inutilmente.
Il sacrificio più alto che un essere senziente può fare, per un essere vivente, è dare la propria vita per salvare quella altrui. Chi è stato disposto a tale sacrificio doveva aver compreso valori così elevati che noi contemporanei, non solo gli ignoriamo, ma non arriviamo nemmeno ad immaginarli e per questo li calpestiamo ed arriviamo, spesso, anche a condannarli, sottovalutandone, da buoni superficiali quali siamo, la grandezza.
Perciò dico stupidi a chi è stato uomo o donna più di me. A chi ha avuto il coraggio di capire che ne valeva la pena nonostante tutto. Io dico stupidi.
Provo un senso di rabbia e di angoscia guardandoci, guardando a noi come popolo: atrofizzato, reazionario, egoista, privo di passione e rassegnato a questo stato di cose.
Come si può pensare che un dato momento storico sia, in perpetuo, lo stesso? Ma davvero noi popolo pensiamo che la Storia attuale sia immutabile? Davvero crediamo che non ci sia niente da fare? Che questo stato di cose non sia abolibile?
Io non conosco una Storia in cui un popolo unito, e forte delle proprie idee, non abbia vinto una battaglia.
Non credo esista.
La Storia, benedetta Storia, insegna che se si è uniti, se si lotta tutti, contro un' oppressione, non c'è altra strada che la vittoria. Nel '40 si lottava con i fucili e si sabotava con le bombe. Oggi dobbiamo farlo con le idee, oggi i nostri fucili saranno l'istruzione e la cultura, e le azioni di sabotaggio saranno l'applicazione dei nostri ideali, dove non uno dovrà essere abbandonato; sarà il lavoro per la costruzione di uno Stato di Popolo per il Popolo.
Oggi la Resistenza siamo noi. Oggi dobbiamo scegliere se immolarci o meno.
Così il sacrificio dei nostri Partigiani non sarà reso vano. Così noi potremo festeggiare il 25 Aprile come il giorno della Liberazione e quello della Rinascita del Popolo inteso nell'accezione più vasta del termine: donne e uomini senza più confini nazionali, ma con l'unica consapevolezza di far parte, e di essere, tra i protagonisti della storia tra le più meravigliose di quelle raccontate: l'Umanità.

Fino ad allora il 25 Aprile, per me sarà, sicuramente un giorno di conquista e di vittoria, ma sopratutto un giorno di lutto, in cui il sacrificio per la Libertà viene ridotto ad una corona di alloro depositata su un monumento ben restaurato, dal vecchietto di turno incorniciato da un bel, il solito, discorso di circostanza.

Questo è quello che penso.

Maurizio Ceccio - Federazione della Sinistra di Melfi.

sabato 24 aprile 2010

NO ALLA CONTRORIFORMA DEL DIRITTO DEL PROCESSO DEL LAVORO 26 APRILE 2010 GIORNATA DI MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO IL DDL 1167 B


DICHIARAZIONE STAMPA DI ANGELO SUMMA, SEGRETARIO GENERALE
DELLA FP CGIL DI POTENZA

La Funzione Pubblica CGIL parteciperà alla giornata di mobilitazione nazionale per dire “No alla controriforma del diritto e del processo del lavoro” indetta dalla Segreteria nazionale della CGIL per il 26 APRILE p.v.
Il ddl lavoro (DDL 1167 B) sostenuto dal Governo e dalla maggioranza parlamentare, attualmente in discussione alle camere dopo la mancata firma del Presidente della Repubblica ed il conseguente rinvio, rappresenta una vera e propria controriforma del diritto e del processo del lavoro.
Tale ddl, partendo dal presupposto della parità delle parti del rapporto di lavoro, non considera la posizione di oggettiva debolezza che il lavoratore ha nei confronti del datore di lavoro.
Si prevede dunque la “presunta liberta” del lavoratore, al momento della firma del contratto di lavoro (momento in cui più evidente è la disparità tra il datore di lavoro ed il lavoratore), per tutte le eventuali future controversie che potranno poi sorgere durante il rapporto di lavoro, di rinunciare alla possibilità di ricorrere al giudice e di scegliere, in alternativa, il ricorso all’arbitrato.
Dalla lettura del ddl emerge il rapporto distorto tra legge, contrattazione collettiva e pattuizioni individuali; è inaccettabile una legislazione che diminuisce i diritti e delega in bianco la contrattazione collettiva a fare da fonte normativa fino a prevedere pari valenza alle pattuizioni individuali.
Il ddl inoltre prevede un nuovo regime di decadenze contemplando tempi molto più stretti che risulteranno gravemente penalizzanti per i lavoratori. La Funzione Pubblica CGIL respinge con forza una controriforma che toglie ai lavoratori diritti e libertà e che punta, in sostanza, al superamento dell’articolo 18 e, più complessivamente, alla cancellazione dello statuto dei lavoratori.
La Funzione Pubblica CGIL di Potenza invita tutti i lavoratori pubblici a partecipare lunedì 26 aprile p.v. a Potenza in piazza prefettura dalle 10.00 alle 12.00, al sit-in contro la riforma del diritto al lavoro che di fatto cancella l’art 18 e modifica il sistema di tutele e dei diritti costruito negli ultimi 40 anni. Una battaglia contro questo modello e suoi effetti devastanti per costruire un modello sociale di diritti completamente alternativo, affinché i giovani possano godere dell’insieme dei diritti che hanno beneficiato i propri padri.

Potenza, 21/04/2010

mercoledì 21 aprile 2010

Perchè l'informazione su Cuba continua ad essere scorretta?

Dal sito del giornalista e scrittore Gianni Minà. Un bellissimo articolo di controinformazione sulla Revolucion Cubana.

[Fonte: Gianni Minà]

E’ sempre triste la morte di un uomo, specie se qualcuno che doveva occuparsene non ha avuto abbastanza attenzione per quella vita umana.

Così la morte, dopo ottantacinque giorni di sciopero della fame, dell’operaio cubano Orlando Tamayo Zapata, in carcere per vari reati comuni, ma anche per villipendio dell’ex Presidente Fidel Castro, e che protestava per la condizione carceraria, ha dato adito sui nostri media a molti interrogativi sulla qualità della democrazia della Revolucion.

Le critiche, a mio parere, sono sempre legittime, anche quando capziosamente si dimentica, per esempio, che in Italia i suicidi di persone in carcere sono arrivati nel 2009 a cifre imbarazzanti e che da noi, come dimostra il caso di Stefano Cucchi, si può morire mentre si è in detenzione non solo per mancanza di adeguato soccorso, ma perchè “pestato” dalle cosiddette forze dell’ordine.

E questa evidentemente è un’abitudine nella nostra democrazia, se ancora adesso, nove anni dopo, quella che un pubblico ministero ha definitio “una notte di macelleria cilena”, convince la pubblica accusa, nel processo d’appello, a chiedere circa cento anni di carcere per i picchitori in divisa. Presunte forze dell’ordine che, in quelle giornate infauste del G8 di Genova, repressero a sangue alla scuola Diaz e frantumarono le ossa di molti ragazzi inermi colpevoli solo di aver sfilato e protestato contro la logica spietata del neoliberismo.

Mi soffermo su questo dettaglio non banale perchè giovedì 25 febbario questa sconcertante pagina della vita italiana avrebbe dovuto condividere, sui nostri media, lo spazio con il racconto della tragica fine di Orlando Tamayo Zapata, ma un solo giornale del mio paese, Il Manifesto, ha avuto la sensibilità e sentito il dovere di non dimenticare questo obbligo.

Il problema, antico, sta nell’onestà dell’informazione su Cuba e su tutti i paesi non convenienti per la loro politica agli interessi degli Stati Uniti e dell’Occidente.

Così, ancora una volta, non si è voluto spiegare, ricordare, da cosa nasce un caso come quello di Orlando Tamayo Zapata, che non era propriamente un dissidente, ma un cittadino da anni con qualche problema con la giustizia che è diventato via, via insofferente alla condizione carceraria fino ad accumulare diverse altre condanne.

Zapata, in prigione, si è accostato alle idee de las Damas en blanco che rappresentano una delle anime più ambigue della sparuta dissidenza cubana.

Il cattivo della storia è stato indicato però solo nel repressivo Stato cubano, anche se è noto fin dai tempi del Presidente Usa Ronald Reagan che molte di queste associazioni controrivoluzionarie sono sovvenzionate da gruppi terroristici di Miami tese a mettere in atto una “strategia della tensione” continua nell’isola, perfino a discapito dell’opposizione possibile e seria alla Rivoluzione stessa, molte volte confusa e lacerata da questo assedio senza fine.

Per fare un esempio, tutti i giornalisti seri che hanno voglia di conoscere quello che succede e non quello che fa piacere al Dipartimento di Stato nordamericano, sanno (è facile trovarne testimonianza nella rete) che recentemente, in un processo che si svolgeva in Florida, Santiago Alvarez, un vecchio terrorista al soldo della CIA, come Posada Carrlies e Orlando Bosh, ha ammesso di essere uno dei sovvenzionatori de las Damas en blanco, alla cui leader, Marta Roque, faceva arrivare mensilmente un congruo malloppo di dollari. Essendo stato sorpreso con un’automobile piena di armi ed esplosivo si è scusato dicendo che quella “santabarbara” serviva per mettere in atto alcuni attentati a Cuba, ma ha anche rivelato che, per non interrompere questo flusso di denaro, Michael Parmly, ex responsabile dell’Ufficio di interessi degli Stati Uniti all’Avana, si era offerto di anticipare in prima persona il vitalizio alle “Dame in bianco”, in attesa che, proprio Santiago Alvarez, potesse farlo di nuovo personalmente. Una mossa generosa, anche se azzardata diplomaticamente, considerato che Santiago Alvarez è stato condannato a una pena di 4 anni, poi ridotta a 30 mesi.

Perchè, verificati questi antefatti, uno non dovrebbe dubitare del tipo di democrazia che gli Stati Uniti, da cinquant’anni, vorrebbero imporre a Cuba, incuranti delle vittime che, come Orlando Tamayo Zapata, queste strategie producono?

Nel 2003, per chi se lo fosse dimenticato, il governo di Bush Jr tentò la spallata finale alla Revolucion. Ci furono tre dirottamenti aerei nel giro di due settimane e un tentativo di sequestro del ferry boat di Regla, tentato, coltelli alla gola dei turisti, da un gruppo di presunti oppositori che volevano andarsene a Miami.

Tre dei protagonisti di questo tentato sequestro furono condannati alla pena capitale. Una sentenza estrema che interruppe la moratoria sulla pena di morte che la Revolucion rispettava da anni e che ha ripreso a rispettare dopo quella drammatica emergenza che mise in pericolo la sopravvivenza stessa della Rivoluzione.

Ci furono anche settantacinque arresti di persone accusate di eversione. Cinquantatre sono ancora in carcere adesso.

Di questa dura intransigenza è sicuramente responsabile il governo dell’Avana, come lo è quello di Washington per le centinaia di scomparsi dovuti alle leggi antiterrorismo varate da Bush jr dopo l’11 settembre, e di cui riviste prestigiose, come The Nation, hanno chiesto più volte ragione allo stesso Bush senza ottenerla. Inoltre il governo degli Stati Uniti, ora diretto da Barack Obama, quando finirà di tenere in piedi questo stato d’assedio a Cuba che non ha nessuna giustificazione nè politica nè morale?

E quando il governo nordamericano la finirà di stanziare fondi (140 milioni di dollari nel 2008, 55 milioni nel 2009, malgrado la crisi economica) per favorire l’eversione a Cuba, violando il diritto di autodeterminazione di un poplo? Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, si è recentemente stupito per il fatto che l’informazione che conta non affonda la sua critica più di tanto quando parla di Cuba, ma lo fa, invece, quando condanna per esempio le repressioni della giunta militare birmana.

Io non so quale sia l’etica di Pigi Battista, ma so qual’è il prestigio sociale di cui gode Cuba presso tutti gli organismi internazionali e non ho mai sentito parlare di medici birmani che salvano la vita a poveri esseri umani del sud del mondo, dall’Africa all’Himalaya, ad Haiti, come fanno, invece, settantamila dottori cubani.

Ci vuole stomaco per sostenere certi argomenti, specie dopo aver magari dimenticato di scrivere anche solo una riflessione sull’ultimo massacro di civili in Afghanistan, compiuto il 22 febbraio nella provincia di Uruzgan da un elicottero Usa. Trentatrè vittime, tra cui donne e bambini, che tentavano di scampare dall’offensiva sferrata dalle truppe dell’Alleanza Atlantica contro i talebani, in teoria proprio per “proteggere” i civili. E ci vuole vero cinismo se magari, come ha fatto Battista, non si è spesa nemmeno una parola di sdegno per l’assassinio su commissione di uno dei fondatori di Hamas, Mahmoud Al- Mabouh, compiuto in un albergo di Dubai il 20 gennaio da un drappello di una decina di 007 israeliani che, per superare i controlli, hanno usato passaporti e carte di credito di cittadini europei, dopo averli rubati e clonati, tanto da suscitare “inquietudine e preoccupazione” da parte dell’Unione Europea.

Importante, per il Corriere della Sera, è stato solo deprecare l’immobilismo della Cuba di Raul Castro, che continua ad essere uguale a se stessa.

E’ singolare, però, che pochi si siano accorti come in questo caso siano gli Stati Uniti, invece, a non aver saputo cambiare politica, come ci si attendeva. Obama ha firmato il rinnovo di un anno dell’embrago a Cuba e il suo apparato, evidentmente prigioniero ancora delle logiche di Bush Jr, ha inserito, senza pudore, l’isola della Revolucion nell’elenco delle nazioni terroriste, nonostante abbia avuto tremila vittime per gli attentati organizzati in Florida e messi in atto nell’isola.

Un atteggiamento schizofrenico, che permette a Raul Castro di ricordare che a Cuba non è mai stato assassinato nessuno nè, come ammette la stessa Amnesty International, torturato qualcuno o siano state praticate esecuzioni extragiudiziali. “A Cuba –ha sottolineato- si è torturato, però nella base navale nordamericana di Guantanamo, e non nel territorio governato dalla Rivoluzione”.

martedì 20 aprile 2010

Mario, uno dei tanti che non fa rumore

[Fonte: Federazione della Sinistra]

Mario è solo uno dei tanti che non fa rumore. L’osservatorio sulla cassa integrazione del Dipartimento settori produttivi della Cigl spiega che nel solo 2009 c’e’ stato il maggiore ricorso alla Cig di sempre, +311% rispetto al 2008, con oltre 918 milioni di ore. Oltre 1 miliardo di ore cassa integrazione ordinaria e straordinaria concesse dall’ottobre 2008 al dicembre 2009. Dati che confermano una crisi che non solo esiste, ma che non dà cenni a passare. I lavoratori in Italia dovrebbero essere la colonna portante dell’economia, senza di loro non ci sarebbe produzione. Invece sono i primi che le aziende mandano a casa, mentre i manager con stipendi da capogiro rimangono ai loro posti fino alla fine. Si potrebbe citare un’impresa per tutte: la Fiat. La Fiat è stata considerata l’azienda di stato per antonomasia. In periodi di crisi ha sempre ricorso agli aiuti pubblici con il paravento dei posti di lavoro… mentre i manager di Fiat hanno buone uscite e bonus da milioni di euro. Un esempio Cesare Romiti, mandato a casa nel 1998 con 105 miliardi di lire (365 anni di lavoro per un comune mortale) mentre il fatturato Fiat era di 708 miliardi di lire. Dopo 12 anni Fiat rischia l’ennesima chiusura, la produzione non c’è, i lavoratori costano troppo (già proprio i lavoratori) e loro sono saliti sul tetto perché sembrerebbe l’unico modo per farsi notare e per sperare in una soluzione. A rischio sono gli over 40. Sono i nuovi disoccupati che si aggiungono agli over 25. aver superato i 40 significa non essere appetibile per le imprese perché non hanno sgravi e preferiscono fare contratti di apprendistato a giovani dai 18 ai 29 anni e tenere solo il personale indispensabile. Gli over 40 sbattuti fuori oppure costretti a lasciare il posto di lavoro dopo numerose vessazioni.

E così accade un fenomeno senza distinzioni territoriali di cui se ne parla poco:

30 gennaio 2010: un operaio bergamasco di 35 anni a Brembate (Bergamo) ha cercato di togliersi la vita cospargendosi di benzina e dandosi fuoco. A spingere l’uomo a compiere il drammatico gesto sarebbe stata la depressione causata dalla perdita del lavoro. L’operaio era impiegato in una ditta di Zingonia (Bergamo) che è fallita due mesi prima.

29 gennaio 2010: Sfratto esecutivo, disoccupato si uccide Un uomo di 55 anni, tagliatore in un’ azienda calzaturiera di Civitanova(MC), rimasto disoccupato, si è ucciso lanciandosi da una finestra, tre ore prima che l’ufficiale giudiziario gli notifi-casse lo sfratto esecutivo.

10 gennaio 2010: Lo hanno trovato i familiari ieri mattina quando, verso le 7, sono andati in negozio. Alberto Ottino era lì, nel supermercato A&O di Castelmassa che con passione gestiva, insieme al fratello, da qualche anno. Si era impiccato con dei fili elettriciAveva problemi economici, gli affari, ormai da tempo, non andavano bene. Una preoccupazione crescente che, alla fine, dopo molti tentativi di raddrizzare le sorti dell’esercizio commerciale, lo ha spinto ad arrendersi.

19 novembre 2009: laureato in matematica e fisica ma da anni precario e con un’occupazione da muratore, si è tolto la vita perchè la ditta edile nella quale lavorava si è vista costretta a ridurre il personale. Si è sparato un colpo al petto un quarantanovenne residente a Sora.

8 novembre 2009: Padova psicologo non trova lavoro si suicida.

14 ottobre 2009: aveva perso il lavoro, nel dicembre scorso. Faceva il ragioniere in una ditta di Francavilla ed era stato licenziato, a 52 anni. Si è procurato una pistola, l’arma che non aveva mai detenuto, e ha premuto il grilletto.

1 settembre 2009: Reggio Emilia perde il lavoro e stermina la famiglia.

8 agosto 2009: ha ucciso la moglie e i figli mentre dormivano e poi si è suicidato: l’ ennesima strage familiare è avvenuta la notte di giovedì in una villetta di Gornate Olona, in provincia di Varese. Il folle gesto potrebbe essere stato causato da una crisi matrimoniale o dalla perdita del lavoro: la coppia stava attraversando una fase personale difficile e, in più, l’ uomo si era dimesso pochi giorni fa dal lavoro che aveva da anni nell’ officina gestita dal suocero.

24 luglio 2009: Un lavoratore di 32 anni, L.D., si è suicidato ieri sera in provincia di Bologna: aveva problemi con la moglie e, pochi giorni fa, aveva ricevuto una lettera di licenziamento dall’azienda in cui lavorava, la Chloride di Castel Guelfo, nel bolognese.

02 luglio 2009 Siena – Si lancia nel vuoto dal terzo piano – Operaio cassaintegrato muore suicida.

22 giugno 2009: Lascia moglie e due figli piccoli, Fabrizio Rossi, un 39enne di Fano che ieri ha deciso di togliersi la vita nel garage di casa sparandosi un colpo di fucile al petto. Alla base del tragico gesto sembra esserci la recente perdita del posto di lavoro.

17 giugno 2009Milano. Insegnante senza lavoro si uccide in casa, 31 anni. Per vivere affittava l’appartamento trasferendosi in cantina. Dove è stato trovato morto, un cappio intorno al collo, una sedia poco lontano.

9 giugno 2009: Dopo aver perso il lavoro e la casa, un 63enne si è suicidato gettandosi dal balcone del suo appartamento a Milano.

23 maggio 2009Treviso – Ingegnere suicida in Veneto – Ossessionato dal dover licenziare – si getta contro un convoglio ferroviario in viaggio verso Venezia.

22 maggio 2009: Roma, suicida operaio: la Ericsson lo vuole licenziare, lui si getta dal tetto della fabbrica.

21 maggio 2009Fontanelle – Si è ucciso impiccandosi un piccolo imprenditore di 58 anni, Valter Ongaro, titolare di un’azienda di verniciatura in forte difficoltà finanziaria a causa della crisi.

20 maggio 2009: Napoli. suicida dipendente Equitalia. Si lancia dalla finestra davanti la Questura.

16 maggio 2009: Bologna, un imprenditore di 49 anni da anni alla prese con problemi legali ed economici, tenta il suicidio, ingerendo una dose di barbiturici in auto.

7 aprile 2009: due anni fa aveva perso il lavoro di guardia giurata, negli ultimi tempi lavorava saltuariamente e alla fine, vinto probabilmente dalla paura di non poter provvedere in maniera adeguata ai suoi cari, ha deciso di togliersi la vita. Mariano Pariante, 55 anni, si è impiccato all’interno di un deposito dell’ex stabilimento Rhodiatoce di Casoria, in cui lavorava saltuariamente come custode.

20 marzo 2009: un geometra originario di Sanremo e residente a Genova di 54 anni, le cui iniziali sono G.R., dopo avere perso il lavoro si è inoltrato in un bosco della Valbisagno, nell’immediato entroterra di Genova, e si è tolto la vita.

25 marzo 2009: Roma un uomo si dà fuoco al Campidoglio, licenziato da una cooperativa, gli avevano comunicato che non avrebbe avuto alcuna indennità di disoccupazione.

18 marzo 2009: dieci mesi fa aveva perso il lavoro e da allora le difficoltà economiche non lo avevano più abbandonato. Così un 52enne ha deciso di farla finita, impiccandosi a un albero di un suo piccolo podere a Gravina in Puglia (Bari). L’uomo, negli ultimi tempi, aveva cercato di tirare avanti facendo il muratore, ma guadagnava troppo poco per mantenere la moglie e i tre figli.

15 gennaio 09: Parma – Un uomo di 47 anni ha tentato di togliersi la vita dopo essere stato licenziato dall’azienda in cui lavorava fin da ragazzo. Le forze dell’ordine lo hanno ritrovato, è in gravi condizioni.

2 gennaio 09: Pistoia – Disoccupato, chiama i carabinieri e si uccide, 3 figli, dopo che l’Enel aveva interrotto la fornitura di energia elettrica, e la morte della madre che lo aiutava economicamente.

Un elenco trovato grazie all’aiuto di internet e non di certo dei tradizionali mass media. Il governo è a conoscenza della crisi sociale e lavorativa in cui versano gli italiani? Un uomo può arrivare a togliersi la vita perché non trova ciò che è sancito dalla Costituzione italiana come un diritto? La classe dirigente è colpevole se non interviene sul lavoro, sulla possibilità di reintegrare chi lo perde. In Italia nessun cittadino sentiva come esigenza primaria l’immunità del Presidente del consiglio.

RACCOLTA FIRME


Domani 20 aprile 2010 alle 13.30 presso la ELBE SUD e il Centro OLI di Viggiano, prosegue la raccolta firme, partita dalla FIAT-SATA di Melfi e dalla ITALTRACTOR di Potenza, per la proposta di Legge di Iniziativa popolare per la democrazia e rappresentanza sindacale, rappresentatività e referendum per la validazione dei contratti nei luoghi di lavoro.

Ad oggi si sta registrando un grande consenso verso questa iniziativa, (con circa 500 firme), tra i lavoratori metalmeccanici che già avevano bocciato l’Accordo Separato sul Contratto Nazionale e l’Accordo separato di Gennaio 2009 tra il Governo, la Confindustria e CISL-UIL-UGL, per la modifica delle regole contrattuali che peggiorano i diritti dei lavoratori.

L’iniziativa della FIOM-CGIL è sempre più necessaria contro l’attacco del Governo e della Confindustria, per riaffermare il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a decidere sulle proprie condizioni di lavoro e di salario.

Potenza 19 Aprile 2010

Ufficio Stampa
FIOM-CGIL
Basilicata

venerdì 16 aprile 2010

Care compagne, cari compagni

Ringrazio di cuore, con moltissimo affetto, tutti voi che in questo mese di malattia, dopo un incidente piuttosto serio, mi avete inviato auguri, solidarietà, vicinanza. Mi è servito per superare i primi momenti che sono stati difficili. Non sto ancora bene, ma conto di tornare pienamente in forma nel giro di 3 o 4 settimane.

Vorrei offrire a tutti i compagni e ai militanti una riflessione sulla fase e qualche idea sulla prospettiva. Anche perché la situazione non è semplice e richiede lucidità di analisi, grande determinazione e, soprattutto, la straordinaria passione politica dei comunisti.

Abbiamo alle spalle le elezioni regionali che, per ampiezza e numero di votanti, rappresentano un test per tutta la politica italiana. Il dato che emerge, al di là delle reticenze del Pd, è che la destra si consolida. E’ vero che ha perso voti in termini assoluti. Ma è successo a tutti, essendoci stato un ulteriore, drammatico astensionismo. Nelle più popolose regioni d’Italia – Lombardia e Campania – la destra si afferma in maniera molto netta. Lo fa anche nel Lazio, nonostante l'assenza del Pdl nella provincia più popolosa, quella di Roma. In Calabria il candidato della destra doppia quello del centro sinistra. In tutto il nord, tranne la Liguria, si conferma ed anzi aumenta l’affermazione della Lega, che ha in sé una pulsione eversiva tra le più pericolose nella storia della Repubblica: la regressione sul piano dei principi di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Il consolidamento della destra fa sì che Berlusconi, insieme alla Lega e contro una parte della stessa destra, proponga riforme costituzionali che stravolgono complessivamente l’assetto uscito dall’Assemblea Costituente, con una progressiva non applicazione e fino allo stravolgimento sostanziale dei principi costituzionali. Fenomeno non nuovo. Da un lato è in corso da più di 15/20 anni, con negli ultimi tempi un’ulteriore e drammatica accentuazione; dall’altro c’è l’idea di riformare il sistema, dando veste costituzionale esplicita a quanto già sta concretamente avvenendo. E quel che sta avvenendo è che il parlamento è stato svuotato di ogni potere e chiamato alla semplice ratifica di ciò che viene deciso nel Consiglio dei ministri. Il più delle volte, peraltro, con il ricorso al voto di fiducia o attraverso decreti legge. Il semipresidenzialismo, con l’elezione diretta del presidente, darebbe un ulteriore, definitivo colpo a quella che per anni è stata chiamata “la centralità del parlamento”.

Queste riforme istituzionali sono, per le note vicende giudiziarie di Berlusconi, connesse all’assalto definitivo al terzo potere della Stato, cioè la magistratura. E l’anomalia italiana sta oggi nel rischio della fine della divisione dei poteri. Il potere legislativo, il parlamento, è asservito al potere esecutivo. Se lo stesso accadesse anche con il potere giudiziario, sarebbe la fine di ogni principio, non dico comunista, ma semplicemente liberale.
Ma nelle società occidentali avanzate vi è un altro potere che, dal celebre film di Orson Welles, viene chiamato il “quarto potere”, quello dell’informazione, oggi completamente in mano al premier. Sia per quanto riguarda l’informazione pubblica che quella privata.
Da questo punto di vista avanzo un’osservazione tutta politica. Nel resto d’Europa vincono le elezioni le forze di opposizione ai governi di destra. Con la crisi economica normalmente viene premiata la forza che sta all’opposizione (penso alle regionali francesi, dove i socialisti, in alleanza con le altre forze della sinistra, hanno vinto in tutte le regioni tranne in una). L’Italia è l’unico caso in cui vince chi sta al governo senza pagare il prezzo della crisi. Perché accade? La mia convinzione è che accade perché la crisi viene accuratamente nascosta in ogni programma d’informazione o di intrattenimento. La responsabilità, molto grande, è anche di chi, avendo governato a più riprese, non è stato in grado o in qualche caso non ha voluto fare una legge antitrust. Mi riferisco ovviamente al centro sinistra.

Di fronte a questo enorme pericolo, le forze d’opposizione presenti in parlamento sono del tutto inadeguate. Il Pd si dibatte in una crisi d’identità continua che lo paralizza, al punto da essere oggi impantanato in una folle discussione su accettare o meno il dialogo con Berlusconi. L'Idv, dal canto suo, non riesce ad andare oltre una - in fondo sterile ancorché giusta - non sufficiente polemica antiberlusconiana. Come se, eliminato Berlusconi, d'incanto si risolvessero tutti i problemi dell’Italia. Se questo è lo stato del paese, con una destra sempre più preoccupante e con posizioni che non esito a definire eversive, all’interno delle forze di opposizione anche lo stato della sinistra che non è in parlamento, e quindi noi, è molto serio.

La Federazione della Sinistra ha avuto alle regionali un risultato attorno al 3%. Un esito che ritengo non positivo. Alle europee, un anno fa, prendemmo il 3,4%. Abbiamo subìto una diminuzione sia in termini assoluti che percentuali. E’ un serio campanello d’allarme che non va sottovaluto né taciuto né nascosto sotto il tappeto.
Oscurati completamente dalle tv e dai giornali, i comunisti e la sinistra scontano il fatto di essere completamente invisibili. E’ un’invisibilità che attiene ad un problema di democrazia, perché sono resi invisibili non tanto i dirigenti, ma i milioni di italiani che hanno votato per le forze della sinistra. E’ un vulnus, una ferita molto seria di cui il Pd non si rende conto e, per certi versi, ne è apertamente responsabile. Questo ha portato ad una percezione di non esistenza della sinistra. E se il dato del 3% non è positivo, è tuttavia un segno di esistenza politica che può essere il presupposto per provare a ricostruire. Voglio dire che, a fronte dell’invisibilità assoluta, è un risultato che possiamo definire, senza nessun eufemismo, accettabile. Dobbiamo tuttavia ricavarne alcune considerazioni di carattere generale.

Avverto l’esigenza - l’ho detto in tanti momenti pubblici e meno pubblici - che i comunisti, e più in generale la sinistra di classe, si manifestino con un profilo programmatico e di contenuto che oggi non hanno. Non casualmente abbiamo creato nel dicembre scorso, assieme ad altre forze politiche, intellettuali, personalità importanti del mondo della cultura, un’associazione che si chiama Marx XXI. Nei nostri intendimenti deve servire - senza steccati, senza alcuna visione di nicchia partitica - alla costruzione di un progetto ambizioso: elaborare idee nuove, inevitabilmente nuove, che guardino al futuro e che propongano alle grandi masse soluzioni - non soltanto denuncie - dei problemi che affliggono il paese. Faccio un esempio immediato. Si parla di riforme istituzionali. Credo sia dovere dei comunisti cimentarsi con un profilo autonomo, intellettualmente e politicamente, e offrire un contributo, anche se dall’esterno del Parlamento, con le risorse intellettuali – e vorrei dire anche morali – che abbiamo. Ad iniziare da un grande tema di cui nessuno parla più: l’intreccio tra questioni sociali e questioni istituzionali, presupposto fondativo della Costituzione. Mi riferisco, in particolare, al principio di eguaglianza, sostanziale e non formale, previsto nell’articolo 3 e al tema, oggi negletto, della forma dello Stato, dei suoi organi. Per i costituenti la centralità del Parlamento non era separata dalla prima parte relativa ai diritti e ai principi fondamentali. Essa era lo strumento ritenuto più idoneo per attuare la prima parte della Costituzione. Il Parlamento era il luogo non solo della mediazione, ma anche del conflitto tra tutte le diverse istanze della società, politiche, sociali, ideologiche, religiose, etniche…

C’è da fare una grande battaglia per un parlamento che sia eletto diversamente, e cioè sulla base del sistema proporzionale puro, il solo a garantire un parlamento davvero rappresentativo anche del conflitto che c’è nella società. Un parlamento realmente rappresentativo della società e di tutte le sue articolazioni di classe è anche, a mio modo di vedere, un formidabile antidoto contro alcuni fenomeni assolutamente deteriori ai quali stiamo assistendo. Penso al dilagare dell’antipolitica, ai partiti espressione di una sola persona e del suo presunto carisma (anche a sinistra), al populismo che dilaga e mina alla radice le ragioni stesse della sinistra di massa. Questo presuppone una ripresa della riflessione teorica.

Penso poi ad altri grandi temi relativi alla questione sociale e intrecciati alla questione istituzionale: alla revisione del welfare da sinistra in una società profondamente mutata; alle forme dell’organizzazione della politica con la novità epocale rappresentata dai nuovi mezzi dì informazione, dal web, dalla rete, che hanno annullato la fisicità, il tempo, lo spazio, cioè le vecchie categorie aristoteliche. Occorre che i comunisti siano all’avanguardia e non nella retroguardia a difesa di identità e valori del passato. Valori sacrosanti, perché senza radici non c’è futuro, ma essi vanno difesi guardando avanti.

Se il primo tema è, quindi, squisitamente contenutistico, il secondo è “come siamo”. Le elezioni regionali ci consegnano alcune questioni. Ad esempio come i comunisti e la sinistra stanno dentro uno schema, tutto politico, di alleanze.
Vedo dei cerchi concentrici, ovviamente comunicanti tra loro, ma separati e ben distinti uno dall’altro.
Il cerchio più largo è quello della difesa della democrazia. Se è vera l’analisi, pur sommaria e me ne scuso, che ho fatto all’inizio, siamo di fronte ad un’aggressione molto seria al sistema democratico, la più grave dall’inizio della storia repubblicana. E allora credo che sia dovere dei comunisti e della sinistra di classe contribuire ad uno schieramento, il più largo possibile, di coloro che credono nella Costituzione, credono nella legalità, credono nei principi fondativi della democrazia. Centrosinistra allargato? Non lo so, saranno le concrete dinamiche della politica a determinare quanto largo sarà questo fronte. Ma più largo sarà, più efficacemente potrà provare a sconfiggere una destra così aggressiva, così forte, così pervasiva nella società, anche a livello di massa. Noi comunisti non possiamo sottrarci ad uno schieramento di questo genere. Sono proprio le elezioni regionali a consegnarci questo problema. In Lombardia, dove ci hanno cacciato scioccamente e, per certi versi, in modo delinquenziale, e in Campania, dove abbiamo scelto di non partecipare all’alleanza, abbiamo ottenuto i risultati in assoluto più deludenti. Da non ripetere. In uno schema bipolare, che non ci piace ma esiste: stare fuori dalla coalizione non paga. Eppure, nelle Marche, dove siamo stati esclusi perché il Pd ha preferito l’Udc che, per una pregiudiziale ideologica, non voleva i comunisti in coalizione, il risultato è stato buono. Perché? Perché siamo riusciti a coinvolgere Sinistra e Libertà nell’operazione di un polo alternativo, costruendo un’alleanza grande e credibile di tutta la sinistra.

All’interno del cerchio più largo, c’è il tema della sinistra. Noi dobbiamo consolidare la Federazione della Sinistra. La linea dei Comunisti Italiani è nota. Avremmo voluto, vogliamo, continueremo a volere l’unificazione tra i due partiti comunisti, il Pdci e il Prc. Ma la riunificazione, che a me sembra un fatto rilevante e, vorrei aggiungere, persino di buon senso, si può fare se le due forze sono d’accordo. Sino ad oggi Rifondazione è stata contraria. La Federazione è al momento il livello possibile di unità. Va consolidata. Senza forzature, tenendo conto dei problemi dei territori, ma anche senza tentennamenti, perché l’autosufficienza – vale per noi ed anche per Rifondazione, che ha subito il tracollo più devastante dal 2006 ad oggi – è semplicemente una sciocchezza. So bene quante difficoltà e problemi e diffidenze vi siano in alcune regioni e provincie nel processo federativo. E anche in queste elezioni regionali ne abbiamo registrate non poche. Occorre grande senso di responsabilità, il che non significa che debba essere il Pdci a esercitare la responsabilità più grande. La linea non può e non deve essere altro da quella di un reciproco equilibrio e pari dignità.

Se fossimo andati ognuno per conto proprio non saremmo stati in grado di eleggere consiglieri regionali. Quest’inedito tentativo di alleanza politica organica, mantenendo ciascuno la propria diversità, è il livello possibile e quindi quello su cui investire.
A partire dalla Federazione e dal simbolo della falce e martello che la contraddistingue, credo che si possa ragionare anche su possibili allargamenti del sistema di alleanze a sinistra. Da questo punto di vista non posso che registrare positivamente il dato della Toscana, al momento il più importante, un esisto addirittura migliore di quello europeo, dove la Federazione s’è alleata con i Verdi. Allo stesso modo è encomiabile il risultato pugliese. In condizioni difficilissime, essendo la regione di Vendola, senza la soglia di sbarramento, sempre assieme ai Verdi, avremmo eletto due consiglieri. Provare a riconnettere un bacino elettorale a sinistra del Pd che, potenzialmente, è attorno al 6/7%, non è impossibile, pur mantenendo ciascuno, com’è ovvio, la propria identità e la propria autonomia: politiche, culturali, ideologiche ed organizzative.

Questo ci conduce al terzo cerchio che, all’interno della sinistra e della dinamica del centrosinistra, è rappresentato dai comunisti. Per una somma di circostanze e dopo non poche sconfitte, propongo la seguente riflessione.
La questione comunista va tenuta aperta, rilanciata, le va dato un senso nel terzo millennio. E questo è compito dei comunisti italiani, non di altri. Vedo nel nostro partito e nel suo rilancio il baluardo ultimo. E non perché non ci siano tante e tanti comunisti. Ci sono dentro Rifondazione e sparsi nella società. Ma il nostro partito è l’unica forza politica organizzata, radicata nei territori, presente a rete in tutte le provincie e nelle grandi città, che ha posto al centro della sua prospettiva l’unità dei comunisti.

Il nostro partito deve essere a disposizione dell’ambizioso progetto della ricomposizione dei comunisti. Il che significa, molto banalmente ma vale la pena ripeterlo, avere chiaro che oggi, in una fase assolutamente difensiva, si deve fare politica guardando avanti. Siamo l’unica forza che continua a ritenere che si debba operare per il superamento del capitalismo. Non bastano aggiustamenti, pur necessari, ma un radicale sovvertimento dei rapporti di classe. Per questo ci chiamiamo comunisti. E’ la grande differenza con chi è di sinistra ma non comunista. Da questo punto di vista l’unica speranza è il Pdci. Nella prospettiva italiana e nella logica europea, dove i partiti comunisti francese, portoghese, greco e cipriota sono andati assai bene alle elezioni, questo ha un senso forte. Mentre un’aggregazione come la Linke tedesca è irripetibile fuori dalla Germania. Perché la Linke non nasce dalla riunificazione di due partiti, ma dalla riunificazione di due Stati, la Germania est e la Germania ovest. A differenza di Rifondazione, noi guardiamo e abbiamo rapporti intensi con grandi paesi governati da partiti comunisti. Nelle forme che si sono di volta in volta determinate nel mondo, dall’Asia all’America Latina al Sudafrica, sono oggi trionfanti. In questa prospettiva – per l’ Italia e come referenti in Italia di un movimento internazionalista –la questione comunista va rilanciata, offrendo un riferimento a tutti quelli che sono comunisti.

Occorre allora che il nostro partito moltiplichi gli sforzi, il tesseramento, il radicamento nei territori, anche laddove oggi è più difficile di ieri. Dove non abbiamo eletto abbiamo poche risorse. E dopo la fine del finanziamento pubblico e la scomparsa dei gruppi parlamentari con i relativi, cospicui versamenti, anche le finanze del partito sono in seria difficoltà. Le misure dolorosissime che abbiamo dovuto adottare (la sospensione della pubblicazione di Rinascita, il ricorso alla cassa integrazione per alcuni nostri funzionari) vanno nella direzione di un partito che vuole tenacemente resistere nonostante le difficoltà economiche. Non ci piegheranno con il ricatto delle risorse!

Pertanto, chiedo alle compagne e ai compagni uno sforzo straordinario, un’abnegazione anche maggiore che nel passato, il superamento di eventuali delusioni personali, pur comprensibili, per la mancata elezione. Abbiamo il dovere di tenere quanto più possibile caro, prezioso, il nostro partito. Al servizio di un progetto che è quello della trasformazione generale. E’ un compito strategico, assieme all’unità della sinistra e a un’unità più ampia di tutte le forze democratiche, mantenendo irriducibile la nostra diversità. E’ una diversità che va conservata gelosamente affinché la si possa consegnare un domani alle future generazioni.

Oliviero Diliberto.