mercoledì 6 ottobre 2010

Contro il golpe fiscale e la guerra valutaria, per il lavoro e la democrazia

[Fonte: Comunisti-italiani.it]

di Francesco Francescaglia, responsabile Esteri del PdCI

La Germania ha promosso un golpe fiscale contro i paesi dell’Unione Europea e gli Usa scatenano una guerra mondiale valutaria e tornano al protezionismo. Cade un altro tabù del ventennio neoliberista, ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Così come dopo la crisi finanziaria del 2008 l’intervento dello Stato è servito per socializzare le perdite delle banche e non per governare l’economia, ora l’austerity e il protezionismo (commerciale e valutario) serviranno per difendere il capitalismo americano e tedesco (facendo ricadere i costi sui paesi in via di sviluppo da un lato e sui lavoratori dall’altro) e non per trovare un patto per governare l’economia e la finanza globale.

L’economia americana ristagna. La domanda interna non riesce a sostenere la produzione. Gli Usa, dunque, vorrebbero esportare, ma invece importano grandi quantità di merci dalla Cina. Sono mesi che l’amministrazione Obama cerca di convincere i cinesi a rivalutare la yuan, considerato molto al di sotto del suo valore reale (il che è sicuramente vero).

I cinesi, dal canto loro, sono mesi che chiedono di negoziare un nuovo patto valutario internazionale. Sostengono che il modello basato sul dollaro come moneta di riserva internazionale e valuta unica per il commercio sia inadeguato ed inappropriato. Ritengono che non abbia più alcun senso che il dollaro continui ad essere l’unica valuta internazionale, poiché non ne ha più la forza e non riesce più a garantire la stabilità valutaria e finanziaria mondiale (il che è sicuramente vero). I cinesi propongo di sostituire il dollaro con un paniere di valute (dollaro, euro, sterline, yuan, ecc…). Americani ed europei continuano ad ignorare la proposta cinese.

I cinesi, però, non voglio contrapporsi agli Stati Uniti e, due mesi fa, hanno aperto alle richieste americane consentendo al renminbi di fluttuare rispetto ad un paniere di monete ed entro una forchetta determinata (+/- 0,5%). In questi mesi lo yuan si è così rivalutato di circa il 2%. Troppo poco per Obama, che in modo molto arrogante e con un crescendo di dichiarazioni ha attaccato duramente la Cina, rea di non eseguire gli ordini dei padroni del mondo. L’America non chiede aiuto, lo pretende.

Questa settimana gli americani sono passati dalle parole ai fatti, con una norma che consente di applicare dazi alle merci cinesi nel caso in cui venga provato, in base ai criteri della Wto, che un governo interviene sul proprio tasso di cambio per sovvenzionare le proprie esportazioni. Una vera e propria ritorsione degli Usa contro la mancata rivalutazione del renminbi. Ovvero una guerra valutaria. Termine, non a caso, coniato dal ministro dell’economia brasiliano, Guido Mantega. I paesi emergenti, infatti, non sono in grado di resistere e vedono il rischio di restare schiacciati dalla guerra tra i titani globali.

Obama, inoltre, prepara un’altra mossa: vuole una tassa contro le delocalizzazione delle multinazionali che decidono di abbandonare gli Usa. Questa proposta prevede di eliminare la deducibilità fiscale delle spese di produzione se i salari sono pagati all’estero. Le merci importate avranno, inoltre, una tassa aggiuntiva se prima venivano prodotte in Usa. Infine ci sono incentivi fiscali per le multinazionali che riportano le produzioni negli Stati Uniti.

Tranquilli, Obama non è diventato comunista. La mossa va letta in funzione anti-cinese. E non è dietrologia. Basta fare la controprova: vediamo quanti altri paesi adotteranno misure antidelocalizzazioni. Zero, lo sappiamo già.

Rapini su Repubblica parla di “legge clamorosa, che può segnare una battuta d’arresto della globalizzazione”. Secondo il Wall Street Journal negli Usa la tentazione protezionista è in ascesa. Vedremo. Di certo la tendenza del capitalismo a difendesi in modo imperialista può dischiudere qualsiasi ipotesi venga ritenuta conveniente, compreso il protezionismo.

Magari stavolta la sinistra capirà, con dieci anni di ritardo, che il nemico non è la globalizzazione, ma il capitalismo, essendo la globalizzazione una manifestazione del capitalismo imperialista.

Se gli Usa scatenano una guerra valutaria contro la Cina, non disdegnando l’opzione protezionista, la Germania promuove un golpe fiscale contro i paesi europei attraverso l’Unione Europea.

Ossessionati dalla stabilità valutaria e dal controllo dell’inflazione i tedeschi fanno adottare dalla Commissione europea un nuovo pacchetto per sanzionare i paesi che non rispettano il patto di stabilità basato sui parametri di Maastricht (debito al 60% del PIL e deficit massimo al 3% del PIL). Ogni paese dovrà ridurre il deficit dello 0,5% all’anno, sino al pareggio di bilancio e, soprattutto, dovrà ridurre il debito pubblico di un ventesimo ogni anno della differenza fra il livello raggiunto e il limite stabilito. Per l’Italia, essendo il debito al 118%, significa una riduzione di un ventesimo del 58%. Il debito italiano è sopra i 1.800 miliardi di euro e per stare al 60% dovrebbe calare fino a circa 960 miliardi. In pratica andrebbe dimezzato. Un ventesimo di 840 (la differenza di 1.800 meno 960) è pari a 42 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea, insomma, ogni anno l’Italia dovrebbe ridurre di circa 40 miliardi il suo debito pubblico: una follia. Significherebbe tagliare lo stato sociale, le pensioni, gli stipendi, la scuola, la sanità e, sicuramente, aumentare le tasse. Va ricordato che la manovra di Tremonti di quest’anno è stata di 25 miliardi e sappiamo cosa ha significato.

Il Commissario agli affari economici Rehn ha detto che l’Europa terrà conto del basso livello di debito delle famiglie italiane e, dunque, verranno fatti degli “sconti” all’Italia. Se ci va bene, comunque, significa tagliare ogni anno 20/25 miliardi di spesa pubblica.

Insomma la stabilità dei tedeschi sarà pagata dai lavoratori europei.

I meccanismi di sanzioni automatiche previsti dalla Commissione configurano un vero è proprio golpe fiscale, poiché tolgono alle singole nazioni il potere sovrano di decidere sui propri conti pubblici.

Dov’è la democrazia? Dove la sovranità popolare? I cittadini europei potranno votare per qualsiasi governo, ma questo non potrà governare, cioè a scegliere, perché costretto ogni anno a tagliare la spesa pubblica per miliardi e miliardi di euro. Fine dello stato sociale europeo. Fine della possibilità di stimolare la domanda per far crescere l’economia.

Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità. Questo pacchetto è stato varato nel giorno dello sciopero europeo contro l’austerity. Uno sfregio che testimonia tutta la distanza che c’è tra le tecnocrazie euro-tedesche e i popoli europei. La risposta non è il nazionalismo e l’affossamento dell’Europa. La risposta è la riconquista democratica della sovranità popolare sulle istituzioni europee, realizzando un vero federalismo europeo e democratizzando l’Unione Europea. I lavoratori europei dovrebbero battersi per imporre alla Germania di aprire l’Europa alla sovranità democratica, contro lo strapotere della BCE e della Bundesbank.

No taxation without representation, recita il principio liberale anglosassone. Perché i lavoratori europei dovrebbero essere tassati (ovvero subire tagli al loro stato sociale e ai loro salari) senza poter decidere alcunché?

Abbiamo bisogno di un’altra Europa, che sia pienamente democratica e liberata dalle tecnocrazie bancarie. Abbiamo bisogno di un’Europa che coopera per lo sviluppo economico di tutti, non dei soli tedeschi. Abbiamo bisogno di un’Europa sociale che difende i diritti dei lavoratori, i beni comuni e lo stato sociale. Abbiamo bisogno di un’Europa che, se non vuole essere schiacciata dalle dinamiche globali, si svincoli dalla sudditanza imperiale con gli Usa ed apra le porte ad un governo globale della finanza e ad un nuovo patto valutario internazionale.

Ai comunisti ed alla sinistra spetta il compito di battersi per questi obiettivi di minima, ma possiamo farlo solo ristabilendo una connessione con le lotte dei lavoratori per contrastare la nuova offensiva portata dalla lotta di classe padronale. Per questo la manifestazione della Fiom del 16 ottobre assume un rilievo straordinario di ripresa del conflitto per difendere i diritti dei lavoratori.