martedì 16 novembre 2010

17 Now - appello italiano della Giornata Internazionale degli Studenti

[Fonte: Studenti.it]

Agli studenti e alle studentesse

Ai lavoratori e alle lavoratrici

Alla società civile tutta

Il 17 Novembre del 1939 gli occupanti nazisti uccisero 9 studenti all'Università di Praga e i loro insegnanti. Il 17 Novembre del 1973 un carro armato abbattè il politecnico di Atene per reprimere la rivolta studentesca contro la dittatura militare. Il 17 Novembre 1989 in Cecoslovacchia la commemorazione del '39 divenne l'inizio della rivolta contro il regime.

17 NOW - Giornata di Mobilitazione Internazionale Studentesca

Sostengono l'appello:

Erri de Luca (Scrittore), Toni Servillo (Attore), Ettore Scola (pres. Onorario fond. Cinemovel), Moni Ovadia (Artista), Ascanio Celestini (Artista), Caparezza (Musicista), Andrea Rivera (Artista), Paolo Flores d'Arcais (direttore Micromega), Nando dalla Chiesa (pres. onorario Libera), Vittorio Cogliati Dezza (pres. nazionale Legambiente), Paolo Beni (pres. nazionale Arci), Flavio Lotti (Coordinatore Tavola della Pace), Paolo Patanè (presidente Arcigay), Alex Zanotelli (missionario comboniano), Giulio Marcon (portavoce Campagna Sbilanciamoci), Gabriella Stramaccioni (coordinatrice nazionale Libera), Maurizio Landini (Segr. Gen. Fiom/Cgil), Fernando D'Aniello (segretario Associazione Dottorandi Italiani), Alessandro Ferretti (ricercatore Rete 29 Aprile), Marco Bersani (Attac Italia), Roberto Morrione (direttore Liberainformazione.org), Peppe Ruggiero (co-autore Biutiful Cauntri, giornalista)

Appello italiano a seguire:

Il futuro della nostra generazione non è mai stato così precario. Dopo aver salvato le banche con ingenti investimenti di denaro pubblico, i Governi hanno ricominciato con la spensierata politica di deregulation e privatizzazioni che aveva generato il disastro, sottovalutando l'emergenza sociale generata dalla crisi e dall'esaurimento delle risorse energetiche. L'auspicabile inversione di tendenza basata su una libera conoscenza, su un rinnovato ruolo del pubblico in economia e sulla sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo non è mai avvenuta.

La crisi economica, al contempo, si è trasformata in alibi per nascondere il degrado sociale, politico e culturale del nostro paese, ha accelerato lo smantellamento dei servizi sociali e del sistema formativo in atto ormai da 30 anni. Quelle in cui passiamo le nostre giornate sono ormai non-scuole e non-università, svuotate di contenuti, servizi e diritti, e di cui si è smarrito non solo il funzionamento ma anche e soprattutto la funzione, la missione culturale, civile e sociale. Dietro la retorica della meritocrazia e dell'efficienza si nasconde un drammatico gioco di potere sulle spalle della nostra generazione.

I tagli alla scuola, l'università e la ricerca pubblica non sono solo correttivi di bilancio, sono un taglio al nostro futuro, sono un taglio al futuro del nostro paese. Non serve fare l'elenco di tutti i provvedimenti che hanno portato a questo disastro, siamo convinti che sia sotto gli occhi di tutti/e la progressiva condizione di dismissione in cui versano i luoghi della formazione. Una società più ignorante è una società meno libera, dove le coscienze sono ostaggio del pensiero dominante, dove le nostre vite hanno un valore solo perchè consumiamo ciò che il mercato ci impone. Questa è la logica che sta sedimentando nei nostri territori sempre più discriminazione, intolleranza, esclusione e ingiustizia sociale.

Sin dalle grandi manifestazioni dell'Onda del 2008 ci mobilitiamo per denunciare il disinteresse della politica per lo sfascio in cui versano scuole e università, nonostante il permanente stato di agitazione di migliaia di studenti e studentesse il Governo ha deciso di proseguire su una strada miope. Il nostro non è più un paese democratico, alle istanze che hanno riempito le piazze ha corrisposto una reazione che oggi si dimostra essere più feroce delle più tristi previsioni. Le sofferenze delle nuove generazioni, l'incertezza per il futuro, la condanna alla precarietà non sono più una questione pubblica, la politica verso questi temi è vuota di senso, distante, autoreferenziale, impegnata troppo spesso a difendere le proprie rendite di posizione.

Sarebbe infantile, oggi, illudersi che sia sufficiente difendere i luoghi della formazione così come li conosciamo, non vogliamo costruire “scuole e università d’oro in un mondo di merda”. Noi esigiamo un reale cambiamento ma allo stesso tempo siamo convinti che sia arrivato il momento di praticare l'alternativa nei luoghi reali in cui la nostra società si compone. Non possiamo più delegare all'attuale classe politica un così arduo compito, è arrivato il momento per ognuno di noi di fare la nostra parte.

Ciò che è rimasto di scuola e università è la loro natura di luoghi collettivi, in grado nonostante tutto di offrire la possibilità di un'esperienza quotidiana condivisa a milioni di persone; proprio nei luoghi della formazione siamo convinti si possa sperimentare e condividere quelle pratiche di comunità, solidarietà e mutualismo che si contrappongono in maniera radicale alla frammentazione e alla competizione che la precarietà ci impone. Questa opportunità, resa manifesta dalle mobilitazioni di queste settimane, unita alla debolezza del Governo costretto a rinviare il ddl Gelmini, va colta senza esitazioni. In queste settimane siamo attivamente impegnati nel percorso di costruzione di un'AltraRiforma delle scuole e dell'università, un percorso partecipato teso alla costruzione di un vero cambiamento che parta da chi questi luoghi li vive quotidianamente.

Ma questo lavoro, perché abbia senso, dev’essere un tassello di un percorso più ampio. Abbiamo partecipato in massa alla manifestazione del 16 ottobre indetta dagli operai della Fiom perchè siamo convinti della necessità di rilanciare una grande battaglia generale di trasformazione di un'Italia ridotta in frantumi. Vogliamo rispondere all'attacco ai nostri diritti che vede nel collegato lavoro, approvato poche settimane fa, solo l'ultima rappresentazione legislativa. Vogliamo che ci vengano restituiti i fondi per il diritto allo studio, furto perpetrato negli anni dalle ultime finanziarie, ma non solo. Vogliamo contrapporre alla guerra tra poveri un nuovo vissuto di solidarietà e cooperazione. Vogliamo che la battaglia in difesa del sapere intraprenda una strada nuova: quello della Ripubblicizzazione.

Così come l'acqua e il lavoro anche la conoscenza è vittima dello sfruttamento del mercato. Per questo la nostra idea di ripubblicizzazione passa attraverso un reale protagonismo dei cittadini a tutti i livelli decisionali. Solo così si può parlare di vera democrazia e di liberazione dei beni comuni. Vogliamo essere protagonisti del nostro tempo, liberi dai condizionamenti sociali e familiari, perciò rivendichiamo un nuovo welfare universale che ci liberi dalla precarietà e dalla schiavitù, un reddito di formazione e di cittadinanza che tramite servizi pubblici e forme di sostegno, ci sappia garantire l’autonomia che meritiamo nelle nostre scelte e nella determinazione dei nostri percorsi di vita. Chiediamo di entrare davvero in Europa. Con i nostri fratelli e coetanei francesi, che proprio in questi giorni si stanno mobilitando, più che la moneta unica condividiamo proprio l'incertezza per il nostro futuro messo a rischio dalle politiche neoliberiste e reazionarie dei governi del mondo, incapaci di dare una risposta reale alla crisi da loro provocata.

Scendiamo in piazza il 17 Novembre, in Italia come in tutto il mondo, perchè siamo convinti che la conoscenza sia uno straordinario strumento di liberazione di tutti e tutte. Scendiamo in piazza perchè crediamo che puntare su una scuola, un'università e una ricerca pubblica significhi riconoscerne lo straordinario valore sociale, l'unica possibilità per immaginare un'uscita da tutte le crisi tesa al miglioramento delle condizioni di vita di ognuno. Scendiamo in piazza, e chiediamo a tutti i cittadini di fare lo stesso, perchè questa non può essere solo la nostra battaglia ma al contrario, è la battaglia di chi crede che un'alternativa all'Italia del declino sia possibile anzi necessaria.

Scendiamo in piazza il 17 Novembre, in occasione della giornata internazionale degli studenti e delle studentesse, non a caso. Negli anni questa è diventata una data simbolo di studenti e studentesse che hanno pagato la vita per esprimere la propria indignazione contro ogni forma di oppressione e autoritarismo. Noi ci sentiamo interpreti di questo spirito che vive in noi.

In Italia scendiamo in piazza il 17 Novembre per lanciare una nuova e pacifica battaglia di liberazione, la nostra.

domenica 14 novembre 2010

Melfi a Congresso.

RELAZIONE CONGRESSUALE SEZIONE FdS CITTA' DI MELFI

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I
INTRODUZIONE


Il momento congressuale dovrebbe servire ad unire le varie esperienze territoriali in un contenitore di idee da cui trarre sintesi per avviare la rinnovata azione politica di un partito. Un momento alto, quindi, quanto importante in cui il confronto è la linfa vitale che permette la vita e la crescita del partito. Ma cosa significa partito? La definizione del vocabolario enciclopedico Zanichelli dice: "Organizzazione politica di più persone volta al raggiungimento di fini comuni per la conquista è l'esercizio del potere" e ancora "è richiesto (secondo la Costituzione Italiana) che si organizzino (i partiti) e svolgano le loro attività con metodo democratico, accettando le regole costituzionali e rispettando la volontà degli iscritti, chiamati ad eleggere i dirigenti."
Una definizione semplice nella forma e chiara nel contenuto, piena di parole cariche di significato evocativo sopratutto per i Comunisti.
Risparmiandovi l'analisi logica e sintattica della definizione enciclopedica, dando per scontato che termini come "democratico", "volontà degli iscritti" ed "elezione dei dirigenti" abbiano per voi tutti, ma sopratutto per i Compagni dirigenti (provinciali o regionali che siano) un significato netto e preciso, liberi da ogni altra interpretazione al di fuori del loro unico significato, ci piacerebbe analizzare quanto l' attività politica del nostro partito si avvicini alla definizione appena enunciata, tuttavia desisterò per non sottrarre tempo eccessivo ai lavora congressuali. Ci sia concessa però una battuta: troppo spesso nella politica nostrana si usa il Manuale Cencelli per stabilire i rapporti di forze tra i partiti o tra le correnti di un partito. Che questo non accada mai più all'interno della nostra organizzazione politica, che troppo spesso ha visto utilizzare questo metodo per stabilire le rappresentanze all'interno delle varie segreterie o coordinamenti che siano. Le capacità, l’impegno e la passione dovranno essere gli unici strumenti per valutare come il contributo di ciascun compagno possa essere messo al servizio della Federazione.
Ed è per questo che la nascita di questo progetto politico nuovo dovrà avere come punto inamovibile la discussione introno alla questione morale.
Crediamo che sia fondamentale dare un segnale di discontinuità per riacquistare credibilità politica e per dare nuova linfa alla causa comunista.
Il comunismo, dunque, come antibiotico per combattere il male sociale.
Il comunismo come naturale evoluzione della società.
Ma non c'è evoluzione senza esercizio. Tentiamo di spiegare la metafora: l'evoluzione va inserita in un contesto dinamico (come può essere la società), questo contesto dinamico stabilisce intrinsecamente (in quanto in continuo movimento) un passaggio da una condizione precedente (che definiremo obsoleta) ad una condizione successiva (quindi nuova). Per affrontare questa nuova condizione, l'evoluzione, impone un cambiamento radicale. Per adattarsi alla nuova condizione bisogna esercitarsi.
Cosa intendiamo dire con questo? Intendiamo dire che se il Comunismo rappresenta l'alternativa all'attuale modello sociale ed economico bisogna esercitarsi affinchè per primi i comunisti siano pronti a guidare il cambiamento radicale della società. Purtroppo come abbiamo potuto tristemente constatare non solo chi dovrà guidare il cambiamento è gravemente impreparato, ma è anche demotivato e demotivante. Mi riferisco alla dirigenza del partito a livello provinciale e a livello regionale. Una dirigenza impegnata più a mantenere il potere burocratico del partito costruito più sugli interessi personali e le alleanze interne che sulla ragione delle argomentazioni e dell'azione politica. Una dirigenza quindi incapace di gestire e di guidare un partito che per natali dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere il più moralmente sano. Invece no. Si sfrutta la posizione politica per ficcarsi in qualche consiglio di amministrazione di qualche ente provinciale. Si impone la propria persona per la candidatura ad un nomina di qualche ente sub-regionale e tutto questo all'insaputa degli iscritti al Partito (molte notizie infatti le abbiamo apprese dai giornali).
Compagni giudicate se questo è essere comunisti.
Giudicate se un ideale alto come il comunismo possa essere barattato con una poltrona.
Marx, folto di chioma, sono sicuro che perderebbe tutti i suoi capelli di fronte a questa degenerazione.
Una dirigenza che non è stata in grado di avviare una discussione politica all'indomani della disastrosa gestione della competizione elettorale regionale, che ha portato ad una inaspettata sconfitta e che insieme alle azioni di boicottaggio perpetrate, per giunta, da una parte politica che oggi è qui e si appresta a fondare con le altre forze comuniste ed anticapitaliste la federazione della sinistra, ha decretato l'eclissamento delle forze comuniste in questa Regione.
Il caos e la confusione plaudono con ammirazione il nostro guazzabuglio.
Ancora una volta l'impreparazione dei nostri cari dirigenti si è palesata in tutta la sua brutale forma.
Potremmo continuare con gli esempi di cattiva gestione fino a suscitare il più grave sentimento di indignazione, ma concludiamo qui rendendoci conto che questa non è, tra l'altro nemmeno la sede adatta a questo sfogo. Ciò accade quando l'unico momento di confronto all'interno di un partito coincide con il momento congressuale. Chiediamo scusa ancora ai compagni presenti.


II
COME E COSA DOVRÀ ESSERE LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA IN LUCANIA?


Senza trascurare le ovvie difficoltà nel fare opposizione fuori dalle istituzioni (che è cosa ben diversa che fare l'opposizione all'interno di una coalizione), la Federazione ora ha l'obbligo di radicarsi sul territorio, di riconquistarsi il consenso, di operare in conformità con gli ideali da cui è mossa: Il Comunismo. Quello con la C maiuscola. Quello del XXI secolo.
La nostra regione, è noto, è inserita tra le aree sotto-sviluppate del nostro Paese. Eppure siamo tra i primi produttori di una risorsa molto richiesta dal mercato nazionale e internazione: il petrolio.
Di solito lì dove sono presenti giacimenti di petrolio è presente un'altra risorsa molto ambita dal mercato ossia il gas. Ma non solo gas e petrolio abbondano nella nostra regione. L'acqua, contrariamente a quanto si dica, è una risorsa, che in quantità copiosa, arricchisce la nostra terra. E' altrettanto vero, però, che siamo anche tra le regioni in cui la rete idrica fa, e mai battuta fu più indovinata, acqua da tutte le parti.
Ora una considerazione dovrebbe sorgere spontaneamente: com'è possibile che una regione ricca di risorse naturali come queste sia inserite tra le aree sotto-sviluppate? La risposta, e di questo sono certo, sarà ben presente nella vostra testa ed è proprio da questa che si dovrà trarre spunto per avviare il lavoro politico della Federazione della Sinistra Lucana.
Una terra di conquista! Non sociale, ma speculativa dove le risorse naturali perdono la loro natura di bene comune, per diventare prodotto, merce e quindi proprietà privata; dove è presente il polo industriale più grande e più all'avanguardia d'Europa e dove gli operai e i dipendenti, che lo rendono così grande e funzionale, sono costantemente attaccati, ricattati e sfruttati dai padroni i quali, ormai, passano come vittime di leggi del lavoro troppo rigide e un sistema sindacale terroristico (e ovvio che parlo della Fiom e della neo-costituita USB); dove si individua Scanzano Jonico, la cui economia si basa fondamentalmente sull' agricoltura e sul turismo balneare, come sito unico di stoccaggio delle scorie radioattive prodotte in Italia, minando la vita, oltre che economica, biologica di quella zona; dove la val d'agri è ormai di proprietà delle grandi multinazionali del petrolio che hanno causato e continuano a causare un danno ambientale dalla portata devastante e dove le stesse società petrolifere pagano le royalty più basse del mondo; dove l'acqua è gestita da una s.p.a, com'è l'Acquedotto lucano, che non riesce a garantire il servizio idrico nelle stagioni più calde dell'anno nonostante il pagamento, a fior di quattrini, sia più che garantito dai cittadini lucani; dove c'è una Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente che si preoccupa più di occultare i risultati relativi all'inquinamento regionale che ergersi a sentinella a tutela dell'ambiente e quindi della salute dei cittadini. Come vedete compagni, di lavoro ce n'è fin troppo.
La Federazione dovrà, quindi, avviare una grande stagione di lotte sociali per rivoluzionare lo stato di cose presente, ma per farlo dovrà essere ambiziosa, l'atteggiamento dovrà essere spregiudicato e libero da ogni condizionamento "politico-affaristico" (ricordando la questione morale). Successivamente andranno ricucite le maglie del tessuto sociale, palesando la divisione delle classi sociali e manifestando loro come solo l'unione (di contro tendenza all'individualismo contemporaneo) possa costituire la vera difesa agli attacchi dei diritti, quindi il recupero della Coscienza di classe. Operai, lavoratori e studenti: il grande fronte dell'opposizione sociale.
Lottare affinché lo sfruttamento del suolo, nel caso di estrazioni petrolifere, gasdotti e acquedotti, sia sostenibile e che si usino i proventi delle estrazioni per avviare opere di bonifica delle aree eco-devastate dall'inquinamento prodotto e per investire in economia verde (l'eolico, il fotovoltaico, il geotermico) sviluppando successivamente una economia basata sulle risorse (e non sul denaro/profitto) e dove queste potranno essere distribuite equamente e a costo zero. Mi rendo conto che può sembrare un discorso molto utopistico il mio, in quanto il sistema Capitalistico non prevede che qualcosa sia dato per niente, ma non ha caso siamo Comunisti e la nostra visione del mondo è radicalmente opposta a quella neo-liberista (sarebbe produttivo se qualche volta organizzassimo una conferenza sul funzionamento del Sistema capitalistico e monetaristico, per approfondire sopratutto come l'emissione di cartamoneta, da parte delle banche centrali, generi debito pubblico).
Oggi la tecnologia è lanciata nel futuro, ma ancorata al presente. E non è questo un caso perchè fino a quando non si riuscirà a "dosare" il vento o a "razionare" l'energia solare (e quindi a ricavarne profitto), le uniche fonti energetiche saranno il nucleare e il petrolio.
Questo, quindi, è una parte (ossia l'inizio) di ciò che dovremo fare da Comunisti. Sgretolare, tramite la conoscenza e l'azione politica, questo Sistema economico e quindi sociale opprimente, altrimenti rischieremmo, come ultimamente accade dalle nostre parti, di elaborare tesi piene di altissime conclusioni retoriche, ma vacue di dimostrazioni pratiche.
Bisognerà quindi rieducare le persone, contro-informandole li dove l'informazione è falsata.
Tutto questo nell'interesse del popolo lucano, che ho piacere oggi a ricordare, è terra di briganti, non di sottomessi.
Perciò compagni, auspico che questa Federazione nasca sotto una nuova stella che riesca a guidare, nel buio di questa notte neo-medievale, quei coraggiosi che avranno l'ardire di intraprende questo difficilissimo cammino.

Buon lavoro a tutti noi e grazie.


III
PROPOSTE


1 – La federazione dovrà avvalersi delle competenze dei compagni che costituiranno la federazione. Bisognerà dare vita a gruppi tematici in cui l’esperienza di ognuno possa essere utile alla causa comunista. Chiediamo la divisione delle competenze (che significa “l’uomo giusto al posto giusto”) e non, come purtroppo abbiamo già sperimentato nel nostro partito, il posizionamento del segretario di turno nella prima postazione libera indipendentemente dalle competenze;

2 - La carica di segretario/coordinatore dovrà essere ritenuta incompatibile con cariche istituzionali. Nel caso in cui questi voglia candidarsi alle elezioni dovrà rassegnare le dimissioni anzitempo, per permettere ad un nuovo segretario/coordinatore di gestire la composizione delle liste e l’ impostazione della campagna elettorale;

3 - Le elezioni degli organismi dirigenti, a partire dalla prima composizione del coordinamento provinciale, devono garantire la logica del ricambio generazione e dell’alternanza (non eleggibilità dei segretari/coordinatori per più di 2 mandati consecutivi);

4 - L’attività del segretario/coordinatore provinciale, di concerto con la segreteria/coordinamento provinciale, dovrà consistere nel promuovere iniziative politiche, individuare tematiche legate ai bisogni della popolazione, coordinando le singole federazioni territoriali, stabilendo giornate unitarie di mobilitazione collettiva.

5 - Chiediamo che venga confermato e rigorosamente rispettato l'artico 4 dello Statuto provvisorio della Federazione della Sinistra che recita:
"1. L'insieme dei comitati di un territorio provinciale costituisce la Federazione Provinciale.
2. Ogni Federazione Provinciale elegge un Consiglio Provinciale, che a sua volta elegge un Coordinamento Politico e una/un portavoce.
3. In vigenza del presente statuto provvisorio, gli organismi dirigenti di cui al comma precedente sono nominati secondo criteri stabiliti dai Soggetti Promotori Nazionali."

Redatto da: Maurizio Ceccio.

Letta ed approvata dal coordinamento politico della Federazione della Sinistra di Melfi

giovedì 4 novembre 2010

Comunicato Stampa - "Coordinamento Regionale Acqua Pubblica Basilicata"

Riceviamo e diffondiamo un comunicato stampa inviatoci dal "Coordinamento Regionale Acqua Pubblica Basilicata" (email: acquaeticapz@gmail.com)

Nelle giornate del 1 e 2 novembre la popolazione di Paterno si è mobilitata per difendere le sorgenti presenti nel territorio del proprio comune dai prelievi di grandi quantità di acqua potabile effettuati da autobotti dell’ENI per scopi industriali legati alle attività di estrazione del petrolio.
Il Direttore Generale di Acquedotto Lucano, Ing. Gerardo Marotta, ha risposto a tale iniziativa difendendo le operazioni di prelievo in quanto legittimate dalla presenza di regolari permessi.
Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica di Basilicata, comunicando il proprio sostegno al Comitato “Sor Aqua” che ha promosso la mobilitazione degli abitanti di Paterno, stigmatizza la posizione assunta da Acquedotto Lucano ed invita tanto i suoi dirigenti quanto il Presidente della Giunta Regionale Vito De Filippo a rispettare ed attuare quanto affermato dallo stesso Governatore nel suo comunicato stampa dello scorso 16 novembre. In quell’occasione egli sostenne, infatti, la necessità di una complessiva riorganizzazione del Sistema Idrico Lucano finalizzata, tra l’altro, “ad utilizzare meno e meglio l’acqua”.
Ciò significa anche – in modo imprescindibile – evitare che le acque potabili, ed in particolare quelle sorgive, vengano impropriamente utilizzate e sperperate per attività industriali o agricole.
L’acqua potabile è un bene ormai prezioso in quanto sempre più scarso sia nella nostra regione che in tutto il pianeta: assistiamo quotidianamente al progressivo impoverimento ed inquinamento di falde acquifere, sorgenti e corsi d’acqua ed è completamente irresponsabile che grandi quantità di acque sorgive di ottima qualità vengano utilizzate per processi industriali il cui funzionamento potrebbe essere perfettamente garantito anche dall’utilizzo di acque di qualità inferiore (depurate e simili).
Il Coordinamento invita, dunque, tanto il Presidente De Filippo quanto i dirigenti di Acquedotto Lucano a revocare tutti i permessi concessi in tal senso e ad avviare, in occasione della prevista costituzione del Tavolo Tecnico Interistituzionale per la riorganizzazione del Sistema Idrico Lucano, una complessiva riflessione per un uso responsabile e sostenibile del bene acqua.

mercoledì 6 ottobre 2010

Contro il golpe fiscale e la guerra valutaria, per il lavoro e la democrazia

[Fonte: Comunisti-italiani.it]

di Francesco Francescaglia, responsabile Esteri del PdCI

La Germania ha promosso un golpe fiscale contro i paesi dell’Unione Europea e gli Usa scatenano una guerra mondiale valutaria e tornano al protezionismo. Cade un altro tabù del ventennio neoliberista, ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Così come dopo la crisi finanziaria del 2008 l’intervento dello Stato è servito per socializzare le perdite delle banche e non per governare l’economia, ora l’austerity e il protezionismo (commerciale e valutario) serviranno per difendere il capitalismo americano e tedesco (facendo ricadere i costi sui paesi in via di sviluppo da un lato e sui lavoratori dall’altro) e non per trovare un patto per governare l’economia e la finanza globale.

L’economia americana ristagna. La domanda interna non riesce a sostenere la produzione. Gli Usa, dunque, vorrebbero esportare, ma invece importano grandi quantità di merci dalla Cina. Sono mesi che l’amministrazione Obama cerca di convincere i cinesi a rivalutare la yuan, considerato molto al di sotto del suo valore reale (il che è sicuramente vero).

I cinesi, dal canto loro, sono mesi che chiedono di negoziare un nuovo patto valutario internazionale. Sostengono che il modello basato sul dollaro come moneta di riserva internazionale e valuta unica per il commercio sia inadeguato ed inappropriato. Ritengono che non abbia più alcun senso che il dollaro continui ad essere l’unica valuta internazionale, poiché non ne ha più la forza e non riesce più a garantire la stabilità valutaria e finanziaria mondiale (il che è sicuramente vero). I cinesi propongo di sostituire il dollaro con un paniere di valute (dollaro, euro, sterline, yuan, ecc…). Americani ed europei continuano ad ignorare la proposta cinese.

I cinesi, però, non voglio contrapporsi agli Stati Uniti e, due mesi fa, hanno aperto alle richieste americane consentendo al renminbi di fluttuare rispetto ad un paniere di monete ed entro una forchetta determinata (+/- 0,5%). In questi mesi lo yuan si è così rivalutato di circa il 2%. Troppo poco per Obama, che in modo molto arrogante e con un crescendo di dichiarazioni ha attaccato duramente la Cina, rea di non eseguire gli ordini dei padroni del mondo. L’America non chiede aiuto, lo pretende.

Questa settimana gli americani sono passati dalle parole ai fatti, con una norma che consente di applicare dazi alle merci cinesi nel caso in cui venga provato, in base ai criteri della Wto, che un governo interviene sul proprio tasso di cambio per sovvenzionare le proprie esportazioni. Una vera e propria ritorsione degli Usa contro la mancata rivalutazione del renminbi. Ovvero una guerra valutaria. Termine, non a caso, coniato dal ministro dell’economia brasiliano, Guido Mantega. I paesi emergenti, infatti, non sono in grado di resistere e vedono il rischio di restare schiacciati dalla guerra tra i titani globali.

Obama, inoltre, prepara un’altra mossa: vuole una tassa contro le delocalizzazione delle multinazionali che decidono di abbandonare gli Usa. Questa proposta prevede di eliminare la deducibilità fiscale delle spese di produzione se i salari sono pagati all’estero. Le merci importate avranno, inoltre, una tassa aggiuntiva se prima venivano prodotte in Usa. Infine ci sono incentivi fiscali per le multinazionali che riportano le produzioni negli Stati Uniti.

Tranquilli, Obama non è diventato comunista. La mossa va letta in funzione anti-cinese. E non è dietrologia. Basta fare la controprova: vediamo quanti altri paesi adotteranno misure antidelocalizzazioni. Zero, lo sappiamo già.

Rapini su Repubblica parla di “legge clamorosa, che può segnare una battuta d’arresto della globalizzazione”. Secondo il Wall Street Journal negli Usa la tentazione protezionista è in ascesa. Vedremo. Di certo la tendenza del capitalismo a difendesi in modo imperialista può dischiudere qualsiasi ipotesi venga ritenuta conveniente, compreso il protezionismo.

Magari stavolta la sinistra capirà, con dieci anni di ritardo, che il nemico non è la globalizzazione, ma il capitalismo, essendo la globalizzazione una manifestazione del capitalismo imperialista.

Se gli Usa scatenano una guerra valutaria contro la Cina, non disdegnando l’opzione protezionista, la Germania promuove un golpe fiscale contro i paesi europei attraverso l’Unione Europea.

Ossessionati dalla stabilità valutaria e dal controllo dell’inflazione i tedeschi fanno adottare dalla Commissione europea un nuovo pacchetto per sanzionare i paesi che non rispettano il patto di stabilità basato sui parametri di Maastricht (debito al 60% del PIL e deficit massimo al 3% del PIL). Ogni paese dovrà ridurre il deficit dello 0,5% all’anno, sino al pareggio di bilancio e, soprattutto, dovrà ridurre il debito pubblico di un ventesimo ogni anno della differenza fra il livello raggiunto e il limite stabilito. Per l’Italia, essendo il debito al 118%, significa una riduzione di un ventesimo del 58%. Il debito italiano è sopra i 1.800 miliardi di euro e per stare al 60% dovrebbe calare fino a circa 960 miliardi. In pratica andrebbe dimezzato. Un ventesimo di 840 (la differenza di 1.800 meno 960) è pari a 42 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea, insomma, ogni anno l’Italia dovrebbe ridurre di circa 40 miliardi il suo debito pubblico: una follia. Significherebbe tagliare lo stato sociale, le pensioni, gli stipendi, la scuola, la sanità e, sicuramente, aumentare le tasse. Va ricordato che la manovra di Tremonti di quest’anno è stata di 25 miliardi e sappiamo cosa ha significato.

Il Commissario agli affari economici Rehn ha detto che l’Europa terrà conto del basso livello di debito delle famiglie italiane e, dunque, verranno fatti degli “sconti” all’Italia. Se ci va bene, comunque, significa tagliare ogni anno 20/25 miliardi di spesa pubblica.

Insomma la stabilità dei tedeschi sarà pagata dai lavoratori europei.

I meccanismi di sanzioni automatiche previsti dalla Commissione configurano un vero è proprio golpe fiscale, poiché tolgono alle singole nazioni il potere sovrano di decidere sui propri conti pubblici.

Dov’è la democrazia? Dove la sovranità popolare? I cittadini europei potranno votare per qualsiasi governo, ma questo non potrà governare, cioè a scegliere, perché costretto ogni anno a tagliare la spesa pubblica per miliardi e miliardi di euro. Fine dello stato sociale europeo. Fine della possibilità di stimolare la domanda per far crescere l’economia.

Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità. Questo pacchetto è stato varato nel giorno dello sciopero europeo contro l’austerity. Uno sfregio che testimonia tutta la distanza che c’è tra le tecnocrazie euro-tedesche e i popoli europei. La risposta non è il nazionalismo e l’affossamento dell’Europa. La risposta è la riconquista democratica della sovranità popolare sulle istituzioni europee, realizzando un vero federalismo europeo e democratizzando l’Unione Europea. I lavoratori europei dovrebbero battersi per imporre alla Germania di aprire l’Europa alla sovranità democratica, contro lo strapotere della BCE e della Bundesbank.

No taxation without representation, recita il principio liberale anglosassone. Perché i lavoratori europei dovrebbero essere tassati (ovvero subire tagli al loro stato sociale e ai loro salari) senza poter decidere alcunché?

Abbiamo bisogno di un’altra Europa, che sia pienamente democratica e liberata dalle tecnocrazie bancarie. Abbiamo bisogno di un’Europa che coopera per lo sviluppo economico di tutti, non dei soli tedeschi. Abbiamo bisogno di un’Europa sociale che difende i diritti dei lavoratori, i beni comuni e lo stato sociale. Abbiamo bisogno di un’Europa che, se non vuole essere schiacciata dalle dinamiche globali, si svincoli dalla sudditanza imperiale con gli Usa ed apra le porte ad un governo globale della finanza e ad un nuovo patto valutario internazionale.

Ai comunisti ed alla sinistra spetta il compito di battersi per questi obiettivi di minima, ma possiamo farlo solo ristabilendo una connessione con le lotte dei lavoratori per contrastare la nuova offensiva portata dalla lotta di classe padronale. Per questo la manifestazione della Fiom del 16 ottobre assume un rilievo straordinario di ripresa del conflitto per difendere i diritti dei lavoratori.

lunedì 23 agosto 2010

Un paese al contrario

[Fonte: Unità.it]


«Ci presenteremo al lavoro, lo hanno ordinato i giudici. Io alle 13.30 mi recherò allo stabilimento di Melfi insieme ai miei due compagni. Se per l’azienda un decreto è carta straccia, se ne assume la responsabilità». Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi oggi sarà ai cancelli, alla ripresa del secondo turno, quello delle 14 il suo, dopo lo stop per ferie dello stabilimento. Lui è stato fermo perché colpito da una sanzione che il giudice ha però definito illegittima. Lo ha reintegrato, insieme ai due compagni, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Ma la Fiat non vuole la sua «prestazione», glielo ha comunicato con un telegramma. Li pagherà, saranno a libro paga fino al 6 ottobre, ma devono restare casa. Uno schiaffo, a cui nessuno - non la Fiom che si è opposta ai licenziamenti, né i lavoratori - intendono prestare l’altra guancia. Così oggi ai cancelli dello stabilimento nella piana di Melfi ci saranno anche polizia e carabinieri «nel caso non ci dovessero far entrare», continua Barozzino.

Le forze dell’ordine non hanno un atto ingiuntivo, non possono cioè costringere i vigilantes di Fiat a far entrare i lavoratori. Ma verbalizzeranno ogni cosa e la loro testimonianza servirà in caso di un eventuale processo contro il Lingotto. Penale, questa volta, ex articolo 650 del codice, quello che reprime la mancata osservanza di un provvdimento giudiziario. È la Fiom a ventilare l’ipotesi. Il sindacato, a cui appartengono i tre lavoratori, due sono delegati, ha infatti diffidato formalmente la Fiat a rispettare il decreto che il giudice del lavoro ha emanato il 9 agosto giudicando illegittimi i licenziamenti e rilevando «l’antisindacalità» della condotta aziendale. «È nella nostre facoltà - è la replica della Fiat - L’ordinanza viene ottemperata con il reintegro nelle funzioni e con il relativo trattamento economico. Ma l’azienda può dispensare i dipendenti dal prestare lavoro». È una “prassi consueta”, si aggiunge. Non quando c’è una condotta antisindacale di mezzo, spiegano dalla Fiom. È ormai un braccio di ferro.

Ai cancelli, quindi. «Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio?», ha chiesto Barozzino a nome dei tre. Li “accompagnerà” un presidio organizzato dalla Fiom a cavallo dei due turni. Anche per «informare i lavoratori», ha spiegato Emanuele Di Nicola, segretario della Fiom lucana: «Marchionne non può pensare che le leggi dello Stato siano rispettate solo per fare profitto, ma devono essere rispettate anche quando di mezzo ci sono i lavoratori».

I sindacatiA respingere la scelta del Lingotto non è solo la Fiom, anche le altre organizzazioni sindacali - Fim, Uilm e Ugl - si schierano contro la decisione di Torino. E sia pure con i distinguo di sempre, almeno su questo si ritrovano d’accordo: il decreto «va rispettato». Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si rivolge alla Fiat: «Si attenga al verdetto dei giudici» se non altro- aggiunge - per non essere «l’altra faccia della Fiom, di rincorrere le sue provocazioni», a scapito del progetto Fabbrica Italia. «L’azienda sbaglia a non garantirne il rientro», sostiene il numero uno della Fim, Giuseppe Farina. E rende il clima delle relazioni industriali sempre più «pesante», avverte il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dicendo no ad «atti di imperio». Un «no» condiviso dalle forze dell’opposizione, Pd, Idv e Pdci e Federazione della sinistra non hanno dubbi: no alle prepotenze, si reintegrino i lavoratori come disposto dal giudice.

«Il comportamento Fiat chiama in causa tutto il sindacato, non solo La Fiom - chiosa la leader dello Spi-Cgil, Carla Cantone - Lo Spi rappresenta una generazione che ha conquistato i diritti che la Fiat calpesta. Anche per questo siamo indignati e a fianco della Fiom. Non si può accettare che Costituzione, Statuto dei lavoratori, diritti e dignità, siano così sfacciatamente calpestati». Intanto, a metà settembre Fim, Uilm e Federmeccanica metteranno a punto le deroghe al contratto da applicare in Fiat.

Lucania: ceneri mortali Fenice


di Gianni Lannes

La fenice era un mitico uccello che, dopo un ciclo vitale di 500 anni, moriva nel fuoco risorgendo poi dalle sue ceneri. Ma se queste ridavano vita al mitico volatile, oggi mettono a repentaglio l’esistenza dei cittadini lucani del Vulture-Melfese, quelli pugliesi del basso Tavoliere nonché della Murgia barese. Nell’area di San Nicola di Melfi (a meno di 3 chilometri da Lavello e a 2 dal fiume Ofanto), infatti, la Fiat – grazie a finanziamenti e agevolazioni statali – ha messo in funzione dal settembre 1999, contro la volontà della popolazione locale che si era pronunciata negativamente con un referendum, un inceneritore di rifiuti tossico-nocivi che avvelena innanzitutto gli operai della Sata (Fiat). Attualmente è il più grande d’Europa e si chiama appunto “Fenice”: brucia a cielo aperto, puntualizzavano le cifre ufficiali ma non aggiornate dell’azienda torinese ben «66 mila tonnellate l’anno di scorie»: 40 mila provenienti dalle regioni settentrionali d’Italia, ma anche dall’estero (Francia e Germania), previo scalo a Orbassano in Piemonte e sosta prolungata per settimane e, a volte, addirittura mesi, nella stazione ferroviaria di Foggia. Il cronista chiede ai responsabili una dichiarazione in merito e l’autorizzazione a poter visitare l’impianto, ma riceve soltanto un diniego. La fabbrica di diossine cancerogene alla fine dell’anno 2001 è stata venduta all’Edf che gestisce al di là delle Alpi una cinquantina di centrali nucleari. I francesi tacciono e non forniscono i dati reali sull’inquinamento. L’Arpa lucana sonnecchia, infatti per oltre un lustro non ha effettuato controlli. Il direttore dell’Arpab Vincenzo Sigillito è sordo alle richieste di dimissioni avanzate da cittadini e parlamentari. L’inquinamento a base di sovrabbondanti iniezioni di mercurio nelle falde acquifere dell’area è noto ai passivi addetti ai lavori ma la magistratura non interviene. Il procuratore della Repubblica di Melfi – Renato Arminio – dorme sonni beati? Ad un tiro di schioppo sorge il più importante stabilimento della Barilla nel Mezzogiorno, imbottito di amianto a perdere (vedi inchiesta personale pubblicata dal quotidiano La Stampa l’11 ottobre 2008). Coltivazioni agricole ed ovini al pascolo completano il quadro locale. «Da queste parti – racconta Giulio P., 21 anni, studente di Lavello – il ricatto del lavoro è fortissimo. I dirigenti della Fiat dicono che se vogliamo tenerci le fabbriche dobbiamo accettare anche l’inquinamento, le malattie, i tumori e la distruzione delle terre. Vuole un esempio? Qui c’era una selva di uliveti plurisecolari, altamente produttivi, che la Fiat ha raso al suolo per insediarsi». Conseguenze epidemiologiche? «I residui della combustione ammontano a 27 mila tonnellate annue» recitano i dati ufficiali ampiamente sottostimati. Si tratta di materia solida e letale che finisce nel sottosuolo della Basilicata – inquinando le falde come ha denunciato l’OLA – e nel fiume Ofanto che si getta nel mare Adriatico. Non è tutto. L’altoforno industriale sputa nell’atmosfera di una delle zone di maggior pregio agricolo del Mezzogiorno – dove lavorano centinaia di aziende agricole, zootecniche, turistiche e delle acque minerali – milioni di metri cubi di fumi fortemente nocivi. «Emissioni oltre i limiti normativi di polveri di metalli pesanti, ossidi di azoto e diossine» accerta periodicamente l’azienda sanitaria locale. Nella scarsa documentazione resa pubblica dalla Fiat, queste sostanze segnalano gli indici più preoccupanti: esalazioni nella misura di «un nanogrammo a metro cubo di rifiuti bruciati», mentre la normativa europea si attesta su un limite di dieci volte inferiore, ovvero 0,1 nanogrammi a metro cubo. La potenzialità cancerogena e mutagena di tali veleni è nota a livello internazionale da decenni. Il gigante automobilistico italiano getta acqua sul fuoco: «E’ tutto sotto controllo: la piattaforma di San Nicola risponde ad una logica concordata qualche anno fa col ministro dell’ambiente Ronchi». Il gruppo transalpino Edf neanche risponde. Eppure, in uno studio elaborato da Luigi Notarnicola, docente del Dipartimento di Scienze geografiche e Merceologiche dell’Università di Bari, emergono dati inquietanti. «Le documentazioni tecniche disponibili non consentono di escludere effetti negativi sulla popolazione di Lavello e nell’intero territorio – scrive il professor Notarnicola – L’insediamento della Sata (Fiat, ndr) e della piattaforma Fenice porta un’immissione nell’atmosfera di oltre 12 milioni di metri cubi all’ora di fumi». E ancora: «Ai danni per la popolazione di Lavello associati all’inquinamento atmosferico vanno aggiunti quelli derivanti all’agricoltura fiorente in tutta la valle, dagli elevatissimi prelevamenti di acqua potabile (12,5 milioni di metri cubi all’anno)». Una nota dell’assessorato regionale all’ambiente rivela: «Nell’autorizzazione a Fenice avevamo imposto il divieto di importazione di rifiuti da fuori regione». Ma i controlli scarseggiano. A fronteggiare casa Agnelli sono due gruppi combattivi e organizzati: il Comitato dei cittadini di Lavello e l’associazione “Uniti per Melfi”. Poi ci sono altri aggregati nei paesi limitrofi, anche in Puglia. Per esempio a Rocchetta Sant’Antonio e Bovino. R. S., operaio Sata solleva interrogativi: «Perché un termodistruttore a Melfi? Forse perché non si possono più usare i vecchi sistemi di smaltimento ormai noti, e quindi è bene realizzare nuovi mezzi di avvelenamento e ubicarli dove la gente è poca e non ha la forza di contrastare i colossi della grande finanza». I fatti appaiono inequivocabili: il progetto “Fenice” bloccato a Biella, è passato in Basilicata con una delibera regionale il 2 maggio 1995, approvata da una giunta ormai sciolta (le nuove elezioni si erano svolte una decina di giorni prima) e non ha mai ricevuto la ratifica del consiglio regionale, prevista per legge entro 30 giorni. Il nuovo governo regionale ha impugnato la delibera e presentato ricorso al Tar, che però ha dato ragione alla Fiat. La Regione, comunque, ha nominato tre esperti per valutare l’impatto ambientale, e i tecnici nello stupore generale, hanno espresso un giudizio di fattibilità dell’opera. Trascorrono solo alcuni mesi e due dei tre membri di quella commissione passano ad altri incarichi: uno, l’ingegner Valicanti, entra direttamente nell’orbita Fiat e viene chiamato alla direzione dei lavori, addirittura nel cantiere dell’inceneritore; l’altro, il professor Cuomo, viene indicato come responsabile del monitoraggio ambientale della zona. E’ decisamente improbabile che le tesi rassicuranti dell’azienda automobilistica convincano i lucani. Gli stessi cittadini che il 25 ottobre 1998, con un referendum consultivo avevano detto “no alla Fenice”. Un rifiuto avvalorato dal sequestro giudiziario il 7 luglio 2001 a Melfi di 8 vagoni merci stracolmi di rifiuti industriali e ospedalieri provenienti da Forlì (movimentati dalla ditta Mengozzi), a Foggia di altri 27 carri, 9 a Brindisi e 5 a Falconara in provincia di Ancona. Si trattava di 400 tonnellate di “materiali a rischio infettivo”. Il serpentone ferroviario carico di residui letali non si è ancora interrotto, vaga per lo Stivale in direzione sud. «Le scorie contengono rifiuti ospedalieri classificati dalla normativa vigente come pericolosi»segnala il sostituto procuratore Ugo Miraglia del Giudice. Provengono da Forlì, Torino, Genova, Vado Ligure, Treviso, ma anche dall’estero. Destinazione finale: la “Fenice” di Melfi. «Non possiamo controllare tutto» dicono all’unisono i dirigenti di Trenitalia Luigi Irdi e Claudio Cristofani. Gran parte dei documenti di viaggio dei vagoni fantasma indicano luoghi di partenza, itinerari e percorsi alla luce del sole. Dalla Francia, spicca, in particolare, il tragitto Amiens-Modane-Ventimiglia-Orbassano utilizzato dalla Whirlpool Europe e da altre aziende senza apparente identità. «Materiale innocuo, elettrodomestici, indumenti usati» si legge nelle bolle d’accompagnamento. Ma allora per quale ragione negli stessi documenti i tecnici delle FS annotano: «Da maneggiare con estrema cautela»? In un altro documento delle FS, il numero 46, compilato a Napoli il 2 aprile dal capo manovra Mazzone è scritto: «Dalla prima traccia parte carro di rifiuti ospedalieri n. 12033325 diretto Oristano (prestare attenzione è merce fragile)». Il vagone però finisce a Brindisi. Altri vettori da decine e passa di tonnellate cadauno, provengono dalla General Motors di Livorno, dalla Cemat di Padova, dalla Hike Coop di Mantova. Ed è curioso che la Polimeri Europa di Brindisi spedisca alla Piccinini presso l’interporto di Parma, “resine sintetiche in granuli” che finiscono nell’inceneritore di Melfi. Identico copione per la Waste Management di Massa che invia rifiuti non meglio identificati alla Sipsa di Oristano. Perché le Fs raccomandano di “maneggiare con precauzione” i capi d’abbigliamento? I carri contengono realmente oggetti innocui? Il professor Giorgio Nebbia, esperto di fama internazionale non ha dubbi: «Nessuno ne conosce la provenienza, l’esatta composizione chimica nonché la pericolosità». E aggiunge: «Pullulano decine di eco-imprese che vendono lo smaltimento in inceneritori, in impianti di compattazione, in discariche: quello che conta è che i rifiuti non si vedano e non puzzino». L’Ocse stima che «Tre quarti dei rifiuti pericolosi europei, circa 30 milioni di tonnellate annue, siano di origine e di composizione sconosciute». I dati ufficiali dell’Unione europea condannano il Belpaese: solo negli ultimi 21 anni sono stati occultati «1 miliardo di tonnellate di rifiuti d’ogni genere». Dove sono finiti? I tentacoli della piovra si sono allungati da nord a sud. L’internazionale dei veleni, infatti, oltre che nei Paesi del Terzo mondo, si è data appuntamento nel Mezzogiorno d’Italia.

martedì 10 agosto 2010

Una battaglia vinta!

Diffondiamo il comunicato originale, non modificato, della FdS Melfitana trasmesso quest'oggi alle agenzie di stampa in merito alla sentenza del giudice del Lavoro del Tribunale di Melfi.

La Federazione della Sinistra di Melfi esprime grande soddisfazione per la sentenza emessa dal giudice del Lavoro del Tribunale di Melfi, che ha giudicato "antisindacale" il provvedimento di licenziamento nei confronti di tre operai della Fiat (due dei quali delegati FIOM-CGIL) accusati di aver bloccato un carrello robotizzato durante uno sciopero ed aver impedito, così, il normale svolgimento del lavoro ai non partecipanti allo stesso.
Il giudice, giudicando illegittimi i tre licenziamenti, ha ordinato l'immediato reintegro sul posto di lavoro dei tre operai.
La FdS melfitana, oltre ad aver partecipato alla manifestazione del 16 Luglio a Melfi, ha seguito con apprensione le varie fasi di questa delicatissima vicenda e oggi si può dire molto soddisfatta del risultato. Una bella pagina per il sindacato, per la giustizia e per la politica.
E' chiaro, quest'oggi, il messaggio lanciato a Fiat e Confindustria: gli accordi si discutono con i sindacati, i rappresentanti dei lavoratori, che oggi hanno visto tutelata la loro dignità di Uomini.
Ai sindacati "arrendevoli" va la dimostrazione che se le barricate si alzano in difesa dei diritti la battaglia a favore dei lavoratori può essere vinta.
Di conseguenza, se l'accordo di Pomigliano d'Arco aveva rappresentato un precedente negativo per il mondo del lavoro e per i diritti dei lavoratori, la sentenza del Tribunale di Melfi rappresenta una piccola, ma fastidiosissima, spina nel fianco del Sistema: Confindustria oggi soffre la prima sconfitta.
I lavoratori esultano, ma la lotta è ancora lunga.

Maurizio Ceccio - Federazione della Sinistra di Melfi.

mercoledì 4 agosto 2010

Dieci domande a Nichi Vendola


Il presidente della Regione Puglia si candida alle primarie del centrosinistra. Lo aveva già fatto, prima di lui, Fausto Bertinotti, per lanciare l'Unione nel 2006. Cosa è cambiato da allora?


1) Ti sei candidato alle primarie del centrosinistra. Lo aveva già fatto prima di te Fausto Bertinotti, con risultati non proprio incoraggianti. Certamente, le primarie in Puglia e la tua rielezione a Presidente offre diverse chance a questa iniziativa. In questo caso contribuiresti a ricreare uno schieramento di centrosinistra che va dalle ali più moderate del Partito democratico fino alla cosiddetta sinistra radicale (ammesso che l'Udc di Casini rimanga fuori). In termini non propriamente diversi dal 2006. Cosa è cambiato nel Pd, nell'Idv di Di Pietro, nel centrosinistra italiano da indurti a ripercorrere una strada che non ha prodotto grandi risultati e che, anzi, ha favorito il ritorno al governo di Berlusconi? Quali sono le novità che scorgi? Quale radicalità ha il Pd di Bersani che i Ds e la Margherita di Fassino e Rutelli non avevano?

2) Quella maggioranza di governo non ha certo brillato per un programma particolarmente innovativo e radicale. Ha varato una finanziaria “monstre” regalando miliardi su miliardi alle imprese; ha rispettato tutti i vincoli europei; ha aumentato le truppe italiane all'estero, ritirandole dall'Iraq ma inviandone di nuove in Libano e aumentando il contingente in Afghanistan. Qual è il tuo giudizio su quell'esperienza che, pure lontano dal Parlamento e dal governo, ti ha visto comunque protagonista di uno dei partiti cardine di quell'alleanza?

3) Il centrosinistra ha ormai sposato la linea militarista di invio delle truppe all'estero e di aumento delle spese militari. Addirittura, ci siamo trovati di fronte al paradosso di una sinistra più leale agli Usa e ai militari di quanto lo sia stato il centrodestra e Berlusconi. Quale sarebbe la tua posizione in materia? Ritireresti immediatamente le truppe dall'Afghanistan e dal Libano? Ridurresti significativamente le spese militari? Avvieresti un programma di riconversione dell'industria bellica?

4) Non hai mai nascosto la tua soggettività omosessuale e questo ha fatto di te un personaggio ammirato oltre che contrastato. Ma come pensi di varare in Italia, alleandoti con il Pd, con Di Pietro, con Castagnetti e Rosi Bindi, una legge sulle unioni civili almeno analoga a quella realizzata da Zapatero in Spagna?

5) L'Italia è immersa in una crisi economica al pari dell'Europa e di gran parte del mondo. Le responsabilità della crisi sono evidenti: la finanza, le banche, i loro legami inestricabili con il sistema delle imprese e delle multinazionali, prelevano risorse sempre più ingenti dalla spesa pubblica scaricando i costi su chi lavora. A Pomigliano si è vista all'opera questa visione della politica e della società con uno stile arrogante e padronale messo in atto da uno, Marchionne, che Fausto Bertinotti era riuscito a definire “esponente di spicco della borghesia buona con cui si può realizzare un compromesso sociale”. Anche tu pensi che occorra realizzare un compromesso sociale con la “borghesia” italiana? Credi sia possibile governare componendo gli interessi degli operai di Pomigliano con quelli di Marchionne, Marcegaglia, delle grandi banche e della finanza italiana preoccupata della concorrenza internazionale?

6) Fai parte di una tradizione politica che ha sempre fatto della democrazia partecipata, del pluralismo, della complessità e della fatica della democrazia un punto chiave del proprio agire politico. Davvero pensi che le primarie, il ruolo carismatico di un “capo”, il leaderismo, siano compatibili con una crescita democratica della società e con una reale partecipazione? Basta davvero venire a votare alle primarie per sentirsi rappresentati? Non serve un percorso di mobilitazione, di strutture plurali e collettive in grado di determinare forme di controllo popolare, di autogoverno, di democrazia diretta nelle quali gli uomini e le donne in carne e ossa siano protagonisti del proprio agire politico?

7) Ti candidi alle primarie con l'obiettivo di essere il primo ministro della settima potenza industriale del pianeta. L'Italia fa parte dei vari G8, G20 e così via. Uno di questi organismi, il G8, nel 2001 tenne il suo vertice a Genova provocando una mobilitazione che ha segnato una generazione militante e ha provocato anche l'uccisione di Carlo Giuliani. A Giuliani tu fai spesso riferimento nei tuoi discorsi pubblici. E' davvero possibile rappresentare le ragioni di quella generazione, e di quel ragazzo ucciso, e far parte del consesso mondiale che è stato, e resta, il principale bersaglio di una contestazione giovanile? Davvero si può fare politica componendo gli opposti?

8) Al centrosinistra, e al Pd, tu proponi una candidatura di “movimento”, nata per “sparigliare” e destinata, ci sembra, a rappresentare le ragioni di chi non ha voce, di chi si batte per un mondo migliore. Contemporaneamente governi la Puglia, una regione importante del Mezzogiorno italiano in cui non ci sembra che in questi ultimi cinque anni siano state invertite o almeno scalfite le condizioni di vita di chi lavora o di chi un lavoro non ce l'ha. La sanità è stata stritolata da affari e corruzione incredibili; esistono un po' di borse di studio per i più giovani ma la disoccupazione resta altissima; c'è una forte e sviluppata criminalità organizzata e così via. Davvero si può ancora proporre una linea “di lotta e di governo” nonostante i guasti realizzati e le illusioni profanate?

9) Per vincere le primarie avrai bisogno di un largo consenso e forse potresti anche averlo sulla base delle tue idee. Per essere il candidato-premier di una coalizione alternativa a Berlusconi dovrai comunque trovare un composizione e una sintesi con le idee e gli interessi materiali dell'attuale centrosinistra. Quello che governa le “regioni rosse” e ha una base di riferimento nelle imprese, nelle Cooperative, in larga parte di ceti professionali e manageriali che si contende, ad esempio, con la Lega al nord; quello di estrazione moderata, pensa a personaggi come Penati e Chiamparino che nella loro esperienza di governo a Milano e Torino hanno fatto di tutto per assomigliare al centrodestra (e poi, non sei tu ad aver detto che dei due Letta il più a sinistra è Gianni?); quello di estrazione cattolica benpensante che su unioni e libertà civili o su sessualità e famiglia tiene alta la guardia; quello di estrazione clientelare, ampiamente radicato al sud dove, spesso, ha punte di contiguità con la malavita. Come pensi di poter miscelare tutto questo non tanto in una ipotesi di governo – quello si riesce sempre a farlo – ma in un'idea di società, in una visione che abbia un certo interesse e che davvero contribuisca al cambiamento?

10) Infine, questo paese è pietrificato, diretto da caste e classi sociali che difendono con le unghie privilegi ancestrali (si pensi all'evasione fiscale), monopolizzato da apparati di potere – politici, confindustriali, clericali, istituzionali, accademici, sindacali, massonici e burocratici – che hanno ben saldo il controllo dello Stato e delle "cose" pubbliche. Tutto questo può essere scacciato, o quanto meno incrinato, semplicemente da una spinta popolare che innalzi la tua candidatura e la tua persona? Non c'è bisogno invece di una consapevolezza nuova, di un blocco sociale coeso e convinto delle proprie ragioni, organizzato democraticamente, capace di scontrarsi con quegli apparati, di resistere e di provare a vincere? Non c'è bisogno di una visione politica della trasformazione animata da migliaia e migliaia di occhi e gambe che lavori sulle proprie proposte, realizzi un'egemonia reale nel paese, trascini dalla propria parte gli indecisi e alla fine prevalga? Insomma, caro Nichi, non ci sarebbe bisogno di una rivoluzione?