[Fonte: Unità.it]
«Ci presenteremo al lavoro, lo hanno ordinato i giudici. Io alle 13.30 mi recherò allo stabilimento di Melfi insieme ai miei due compagni. Se per l’azienda un decreto è carta straccia, se ne assume la responsabilità». Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi oggi sarà ai cancelli, alla ripresa del secondo turno, quello delle 14 il suo, dopo lo stop per ferie dello stabilimento. Lui è stato fermo perché colpito da una sanzione che il giudice ha però definito illegittima. Lo ha reintegrato, insieme ai due compagni, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Ma la Fiat non vuole la sua «prestazione», glielo ha comunicato con un telegramma. Li pagherà, saranno a libro paga fino al 6 ottobre, ma devono restare casa. Uno schiaffo, a cui nessuno - non la Fiom che si è opposta ai licenziamenti, né i lavoratori - intendono prestare l’altra guancia. Così oggi ai cancelli dello stabilimento nella piana di Melfi ci saranno anche polizia e carabinieri «nel caso non ci dovessero far entrare», continua Barozzino.
Le forze dell’ordine non hanno un atto ingiuntivo, non possono cioè costringere i vigilantes di Fiat a far entrare i lavoratori. Ma verbalizzeranno ogni cosa e la loro testimonianza servirà in caso di un eventuale processo contro il Lingotto. Penale, questa volta, ex articolo 650 del codice, quello che reprime la mancata osservanza di un provvdimento giudiziario. È la Fiom a ventilare l’ipotesi. Il sindacato, a cui appartengono i tre lavoratori, due sono delegati, ha infatti diffidato formalmente la Fiat a rispettare il decreto che il giudice del lavoro ha emanato il 9 agosto giudicando illegittimi i licenziamenti e rilevando «l’antisindacalità» della condotta aziendale. «È nella nostre facoltà - è la replica della Fiat - L’ordinanza viene ottemperata con il reintegro nelle funzioni e con il relativo trattamento economico. Ma l’azienda può dispensare i dipendenti dal prestare lavoro». È una “prassi consueta”, si aggiunge. Non quando c’è una condotta antisindacale di mezzo, spiegano dalla Fiom. È ormai un braccio di ferro.
Ai cancelli, quindi. «Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio?», ha chiesto Barozzino a nome dei tre. Li “accompagnerà” un presidio organizzato dalla Fiom a cavallo dei due turni. Anche per «informare i lavoratori», ha spiegato Emanuele Di Nicola, segretario della Fiom lucana: «Marchionne non può pensare che le leggi dello Stato siano rispettate solo per fare profitto, ma devono essere rispettate anche quando di mezzo ci sono i lavoratori».
I sindacatiA respingere la scelta del Lingotto non è solo la Fiom, anche le altre organizzazioni sindacali - Fim, Uilm e Ugl - si schierano contro la decisione di Torino. E sia pure con i distinguo di sempre, almeno su questo si ritrovano d’accordo: il decreto «va rispettato». Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si rivolge alla Fiat: «Si attenga al verdetto dei giudici» se non altro- aggiunge - per non essere «l’altra faccia della Fiom, di rincorrere le sue provocazioni», a scapito del progetto Fabbrica Italia. «L’azienda sbaglia a non garantirne il rientro», sostiene il numero uno della Fim, Giuseppe Farina. E rende il clima delle relazioni industriali sempre più «pesante», avverte il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dicendo no ad «atti di imperio». Un «no» condiviso dalle forze dell’opposizione, Pd, Idv e Pdci e Federazione della sinistra non hanno dubbi: no alle prepotenze, si reintegrino i lavoratori come disposto dal giudice.
«Il comportamento Fiat chiama in causa tutto il sindacato, non solo La Fiom - chiosa la leader dello Spi-Cgil, Carla Cantone - Lo Spi rappresenta una generazione che ha conquistato i diritti che la Fiat calpesta. Anche per questo siamo indignati e a fianco della Fiom. Non si può accettare che Costituzione, Statuto dei lavoratori, diritti e dignità, siano così sfacciatamente calpestati». Intanto, a metà settembre Fim, Uilm e Federmeccanica metteranno a punto le deroghe al contratto da applicare in Fiat.
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