martedì 16 novembre 2010
17 Now - appello italiano della Giornata Internazionale degli Studenti
domenica 14 novembre 2010
Melfi a Congresso.
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giovedì 4 novembre 2010
Comunicato Stampa - "Coordinamento Regionale Acqua Pubblica Basilicata"
mercoledì 6 ottobre 2010
Contro il golpe fiscale e la guerra valutaria, per il lavoro e la democrazia
[Fonte: Comunisti-italiani.it]
di Francesco Francescaglia, responsabile Esteri del PdCI
La Germania ha promosso un golpe fiscale contro i paesi dell’Unione Europea e gli Usa scatenano una guerra mondiale valutaria e tornano al protezionismo. Cade un altro tabù del ventennio neoliberista, ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Così come dopo la crisi finanziaria del 2008 l’intervento dello Stato è servito per socializzare le perdite delle banche e non per governare l’economia, ora l’austerity e il protezionismo (commerciale e valutario) serviranno per difendere il capitalismo americano e tedesco (facendo ricadere i costi sui paesi in via di sviluppo da un lato e sui lavoratori dall’altro) e non per trovare un patto per governare l’economia e la finanza globale.
L’economia americana ristagna. La domanda interna non riesce a sostenere la produzione. Gli Usa, dunque, vorrebbero esportare, ma invece importano grandi quantità di merci dalla Cina. Sono mesi che l’amministrazione Obama cerca di convincere i cinesi a rivalutare la yuan, considerato molto al di sotto del suo valore reale (il che è sicuramente vero).
I cinesi, dal canto loro, sono mesi che chiedono di negoziare un nuovo patto valutario internazionale. Sostengono che il modello basato sul dollaro come moneta di riserva internazionale e valuta unica per il commercio sia inadeguato ed inappropriato. Ritengono che non abbia più alcun senso che il dollaro continui ad essere l’unica valuta internazionale, poiché non ne ha più la forza e non riesce più a garantire la stabilità valutaria e finanziaria mondiale (il che è sicuramente vero). I cinesi propongo di sostituire il dollaro con un paniere di valute (dollaro, euro, sterline, yuan, ecc…). Americani ed europei continuano ad ignorare la proposta cinese.
I cinesi, però, non voglio contrapporsi agli Stati Uniti e, due mesi fa, hanno aperto alle richieste americane consentendo al renminbi di fluttuare rispetto ad un paniere di monete ed entro una forchetta determinata (+/- 0,5%). In questi mesi lo yuan si è così rivalutato di circa il 2%. Troppo poco per Obama, che in modo molto arrogante e con un crescendo di dichiarazioni ha attaccato duramente la Cina, rea di non eseguire gli ordini dei padroni del mondo. L’America non chiede aiuto, lo pretende.
Questa settimana gli americani sono passati dalle parole ai fatti, con una norma che consente di applicare dazi alle merci cinesi nel caso in cui venga provato, in base ai criteri della Wto, che un governo interviene sul proprio tasso di cambio per sovvenzionare le proprie esportazioni. Una vera e propria ritorsione degli Usa contro la mancata rivalutazione del renminbi. Ovvero una guerra valutaria. Termine, non a caso, coniato dal ministro dell’economia brasiliano, Guido Mantega. I paesi emergenti, infatti, non sono in grado di resistere e vedono il rischio di restare schiacciati dalla guerra tra i titani globali.
Obama, inoltre, prepara un’altra mossa: vuole una tassa contro le delocalizzazione delle multinazionali che decidono di abbandonare gli Usa. Questa proposta prevede di eliminare la deducibilità fiscale delle spese di produzione se i salari sono pagati all’estero. Le merci importate avranno, inoltre, una tassa aggiuntiva se prima venivano prodotte in Usa. Infine ci sono incentivi fiscali per le multinazionali che riportano le produzioni negli Stati Uniti.
Tranquilli, Obama non è diventato comunista. La mossa va letta in funzione anti-cinese. E non è dietrologia. Basta fare la controprova: vediamo quanti altri paesi adotteranno misure antidelocalizzazioni. Zero, lo sappiamo già.
Rapini su Repubblica parla di “legge clamorosa, che può segnare una battuta d’arresto della globalizzazione”. Secondo il Wall Street Journal negli Usa la tentazione protezionista è in ascesa. Vedremo. Di certo la tendenza del capitalismo a difendesi in modo imperialista può dischiudere qualsiasi ipotesi venga ritenuta conveniente, compreso il protezionismo.
Magari stavolta la sinistra capirà, con dieci anni di ritardo, che il nemico non è la globalizzazione, ma il capitalismo, essendo la globalizzazione una manifestazione del capitalismo imperialista.
Se gli Usa scatenano una guerra valutaria contro la Cina, non disdegnando l’opzione protezionista, la Germania promuove un golpe fiscale contro i paesi europei attraverso l’Unione Europea.
Ossessionati dalla stabilità valutaria e dal controllo dell’inflazione i tedeschi fanno adottare dalla Commissione europea un nuovo pacchetto per sanzionare i paesi che non rispettano il patto di stabilità basato sui parametri di Maastricht (debito al 60% del PIL e deficit massimo al 3% del PIL). Ogni paese dovrà ridurre il deficit dello 0,5% all’anno, sino al pareggio di bilancio e, soprattutto, dovrà ridurre il debito pubblico di un ventesimo ogni anno della differenza fra il livello raggiunto e il limite stabilito. Per l’Italia, essendo il debito al 118%, significa una riduzione di un ventesimo del 58%. Il debito italiano è sopra i 1.800 miliardi di euro e per stare al 60% dovrebbe calare fino a circa 960 miliardi. In pratica andrebbe dimezzato. Un ventesimo di 840 (la differenza di 1.800 meno 960) è pari a 42 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea, insomma, ogni anno l’Italia dovrebbe ridurre di circa 40 miliardi il suo debito pubblico: una follia. Significherebbe tagliare lo stato sociale, le pensioni, gli stipendi, la scuola, la sanità e, sicuramente, aumentare le tasse. Va ricordato che la manovra di Tremonti di quest’anno è stata di 25 miliardi e sappiamo cosa ha significato.
Il Commissario agli affari economici Rehn ha detto che l’Europa terrà conto del basso livello di debito delle famiglie italiane e, dunque, verranno fatti degli “sconti” all’Italia. Se ci va bene, comunque, significa tagliare ogni anno 20/25 miliardi di spesa pubblica.
Insomma la stabilità dei tedeschi sarà pagata dai lavoratori europei.
I meccanismi di sanzioni automatiche previsti dalla Commissione configurano un vero è proprio golpe fiscale, poiché tolgono alle singole nazioni il potere sovrano di decidere sui propri conti pubblici.
Dov’è la democrazia? Dove la sovranità popolare? I cittadini europei potranno votare per qualsiasi governo, ma questo non potrà governare, cioè a scegliere, perché costretto ogni anno a tagliare la spesa pubblica per miliardi e miliardi di euro. Fine dello stato sociale europeo. Fine della possibilità di stimolare la domanda per far crescere l’economia.
Dobbiamo riprenderci la nostra sovranità. Questo pacchetto è stato varato nel giorno dello sciopero europeo contro l’austerity. Uno sfregio che testimonia tutta la distanza che c’è tra le tecnocrazie euro-tedesche e i popoli europei. La risposta non è il nazionalismo e l’affossamento dell’Europa. La risposta è la riconquista democratica della sovranità popolare sulle istituzioni europee, realizzando un vero federalismo europeo e democratizzando l’Unione Europea. I lavoratori europei dovrebbero battersi per imporre alla Germania di aprire l’Europa alla sovranità democratica, contro lo strapotere della BCE e della Bundesbank.
No taxation without representation, recita il principio liberale anglosassone. Perché i lavoratori europei dovrebbero essere tassati (ovvero subire tagli al loro stato sociale e ai loro salari) senza poter decidere alcunché?
Abbiamo bisogno di un’altra Europa, che sia pienamente democratica e liberata dalle tecnocrazie bancarie. Abbiamo bisogno di un’Europa che coopera per lo sviluppo economico di tutti, non dei soli tedeschi. Abbiamo bisogno di un’Europa sociale che difende i diritti dei lavoratori, i beni comuni e lo stato sociale. Abbiamo bisogno di un’Europa che, se non vuole essere schiacciata dalle dinamiche globali, si svincoli dalla sudditanza imperiale con gli Usa ed apra le porte ad un governo globale della finanza e ad un nuovo patto valutario internazionale.
Ai comunisti ed alla sinistra spetta il compito di battersi per questi obiettivi di minima, ma possiamo farlo solo ristabilendo una connessione con le lotte dei lavoratori per contrastare la nuova offensiva portata dalla lotta di classe padronale. Per questo la manifestazione della Fiom del 16 ottobre assume un rilievo straordinario di ripresa del conflitto per difendere i diritti dei lavoratori.
lunedì 23 agosto 2010
Un paese al contrario
Lucania: ceneri mortali Fenice
martedì 10 agosto 2010
Una battaglia vinta!
mercoledì 4 agosto 2010
Dieci domande a Nichi Vendola
2) Quella maggioranza di governo non ha certo brillato per un programma particolarmente innovativo e radicale. Ha varato una finanziaria “monstre” regalando miliardi su miliardi alle imprese; ha rispettato tutti i vincoli europei; ha aumentato le truppe italiane all'estero, ritirandole dall'Iraq ma inviandone di nuove in Libano e aumentando il contingente in Afghanistan. Qual è il tuo giudizio su quell'esperienza che, pure lontano dal Parlamento e dal governo, ti ha visto comunque protagonista di uno dei partiti cardine di quell'alleanza?
3) Il centrosinistra ha ormai sposato la linea militarista di invio delle truppe all'estero e di aumento delle spese militari. Addirittura, ci siamo trovati di fronte al paradosso di una sinistra più leale agli Usa e ai militari di quanto lo sia stato il centrodestra e Berlusconi. Quale sarebbe la tua posizione in materia? Ritireresti immediatamente le truppe dall'Afghanistan e dal Libano? Ridurresti significativamente le spese militari? Avvieresti un programma di riconversione dell'industria bellica?
4) Non hai mai nascosto la tua soggettività omosessuale e questo ha fatto di te un personaggio ammirato oltre che contrastato. Ma come pensi di varare in Italia, alleandoti con il Pd, con Di Pietro, con Castagnetti e Rosi Bindi, una legge sulle unioni civili almeno analoga a quella realizzata da Zapatero in Spagna?
5) L'Italia è immersa in una crisi economica al pari dell'Europa e di gran parte del mondo. Le responsabilità della crisi sono evidenti: la finanza, le banche, i loro legami inestricabili con il sistema delle imprese e delle multinazionali, prelevano risorse sempre più ingenti dalla spesa pubblica scaricando i costi su chi lavora. A Pomigliano si è vista all'opera questa visione della politica e della società con uno stile arrogante e padronale messo in atto da uno, Marchionne, che Fausto Bertinotti era riuscito a definire “esponente di spicco della borghesia buona con cui si può realizzare un compromesso sociale”. Anche tu pensi che occorra realizzare un compromesso sociale con la “borghesia” italiana? Credi sia possibile governare componendo gli interessi degli operai di Pomigliano con quelli di Marchionne, Marcegaglia, delle grandi banche e della finanza italiana preoccupata della concorrenza internazionale?
6) Fai parte di una tradizione politica che ha sempre fatto della democrazia partecipata, del pluralismo, della complessità e della fatica della democrazia un punto chiave del proprio agire politico. Davvero pensi che le primarie, il ruolo carismatico di un “capo”, il leaderismo, siano compatibili con una crescita democratica della società e con una reale partecipazione? Basta davvero venire a votare alle primarie per sentirsi rappresentati? Non serve un percorso di mobilitazione, di strutture plurali e collettive in grado di determinare forme di controllo popolare, di autogoverno, di democrazia diretta nelle quali gli uomini e le donne in carne e ossa siano protagonisti del proprio agire politico?
7) Ti candidi alle primarie con l'obiettivo di essere il primo ministro della settima potenza industriale del pianeta. L'Italia fa parte dei vari G8, G20 e così via. Uno di questi organismi, il G8, nel 2001 tenne il suo vertice a Genova provocando una mobilitazione che ha segnato una generazione militante e ha provocato anche l'uccisione di Carlo Giuliani. A Giuliani tu fai spesso riferimento nei tuoi discorsi pubblici. E' davvero possibile rappresentare le ragioni di quella generazione, e di quel ragazzo ucciso, e far parte del consesso mondiale che è stato, e resta, il principale bersaglio di una contestazione giovanile? Davvero si può fare politica componendo gli opposti?
8) Al centrosinistra, e al Pd, tu proponi una candidatura di “movimento”, nata per “sparigliare” e destinata, ci sembra, a rappresentare le ragioni di chi non ha voce, di chi si batte per un mondo migliore. Contemporaneamente governi la Puglia, una regione importante del Mezzogiorno italiano in cui non ci sembra che in questi ultimi cinque anni siano state invertite o almeno scalfite le condizioni di vita di chi lavora o di chi un lavoro non ce l'ha. La sanità è stata stritolata da affari e corruzione incredibili; esistono un po' di borse di studio per i più giovani ma la disoccupazione resta altissima; c'è una forte e sviluppata criminalità organizzata e così via. Davvero si può ancora proporre una linea “di lotta e di governo” nonostante i guasti realizzati e le illusioni profanate?
9) Per vincere le primarie avrai bisogno di un largo consenso e forse potresti anche averlo sulla base delle tue idee. Per essere il candidato-premier di una coalizione alternativa a Berlusconi dovrai comunque trovare un composizione e una sintesi con le idee e gli interessi materiali dell'attuale centrosinistra. Quello che governa le “regioni rosse” e ha una base di riferimento nelle imprese, nelle Cooperative, in larga parte di ceti professionali e manageriali che si contende, ad esempio, con la Lega al nord; quello di estrazione moderata, pensa a personaggi come Penati e Chiamparino che nella loro esperienza di governo a Milano e Torino hanno fatto di tutto per assomigliare al centrodestra (e poi, non sei tu ad aver detto che dei due Letta il più a sinistra è Gianni?); quello di estrazione cattolica benpensante che su unioni e libertà civili o su sessualità e famiglia tiene alta la guardia; quello di estrazione clientelare, ampiamente radicato al sud dove, spesso, ha punte di contiguità con la malavita. Come pensi di poter miscelare tutto questo non tanto in una ipotesi di governo – quello si riesce sempre a farlo – ma in un'idea di società, in una visione che abbia un certo interesse e che davvero contribuisca al cambiamento?
10) Infine, questo paese è pietrificato, diretto da caste e classi sociali che difendono con le unghie privilegi ancestrali (si pensi all'evasione fiscale), monopolizzato da apparati di potere – politici, confindustriali, clericali, istituzionali, accademici, sindacali, massonici e burocratici – che hanno ben saldo il controllo dello Stato e delle "cose" pubbliche. Tutto questo può essere scacciato, o quanto meno incrinato, semplicemente da una spinta popolare che innalzi la tua candidatura e la tua persona? Non c'è bisogno invece di una consapevolezza nuova, di un blocco sociale coeso e convinto delle proprie ragioni, organizzato democraticamente, capace di scontrarsi con quegli apparati, di resistere e di provare a vincere? Non c'è bisogno di una visione politica della trasformazione animata da migliaia e migliaia di occhi e gambe che lavori sulle proprie proposte, realizzi un'egemonia reale nel paese, trascini dalla propria parte gli indecisi e alla fine prevalga? Insomma, caro Nichi, non ci sarebbe bisogno di una rivoluzione?