giovedì 29 luglio 2010
Fiom, domani presidio lavoratori Fiat presso tribunale Melfi
lunedì 19 luglio 2010
OGGI A ROMA RIUNIONE FIOM DEL GRUPPO FIAT
giovedì 15 luglio 2010
Alla Lotta!
Quando il compagno Marco ieri mi ha chiamato sul cellulare, tornavo da Potenza con il compagno Alessio: "Maurì i tre operai della Fiat che erano stati sospesi dal lavoro giorni fa, sono saliti sulla Porta Venosina per protesta [...] uno di loro è stato licenziato".
Inizia così la ricerca sul "Cosa fare" per appoggiare "senza se e senza ma" la lotta di questi coraggiosi operai. O forse dovrei chiamargli Uomini? Già, perchè in questa società marcia essere un operaio significa essere uguale ad un giacimento di petrolio o acqua, se si vuole. L'operaio è QUALCOSA (non più QUALCUNO) da sfruttare fino all' esasperazione, fino all'esaurimento della sua persona. Disporre di lui, o di lei, come meglio si crede e al primo problema (poco importa se questo sia reale o fittizio) mandarlo a casa, in tronco.
Questo accade, a mio avviso, perchè l' operaio è svuotato della sua appartenenza alla specie Umana. Potrà sembrare un po' forzata questa espressione, ma è una considerazione personale nata dopo essermi confrontato più volte con molti miei amici che lavorano in fabbrica: "Per otto ore tu sei di proprietà dell'azienda. Dispongono di te come meglio credono". Guai poi se sei un lavoratore interinale o precario: non puoi permetterti nemmeno l'influenza.
Il discorso è complesso nella sua estrema semplicità: sulla carta sei un lavoratore con "diritti e doveri", ma di fatto non è così, perchè è vero che ti spettano i famosi "giorni di malattia", ma è vero anche che se ne usi uno soltanto rischi, allo scadere de contratto a tempo determinato, di non essere riconfermato per i prossimi mesi.
Il rapporto azienda-operaio non si instaura sul reciproco rispetto, ma sul ricatto della prima sul secondo.
Il Capitale, da quando ha impugnato il coltello dalla parte del manico, tira fendenti a destra e a manca con spregiudicatezza e arroganza, così da spegnere sul nascere ogni resistenza. Non potendo distruggere chiunque gli si opponga è riuscito a distruggere la sua volontà di combattere. La società è diventata reazionaria. Il nuovo, l'alternativo fa troppa paura se è vero che "si sa quel che si lascia, ma non si sa che si trova" e ciò potrebbe essere comprensibile, se non fosse che c'è un buon 50% di probabilità che il cambiamento possa avvenire in meglio.
Ci vuole coraggio, il coraggio di una scelta, lo ribadisco. Bisogna riprenderci ciò che c'è stato tolto e difendere con forza quel po' che ci rimane. Per questo dobbiamo partecipare con forza e coraggio alla lotta per la difesa dei diritti.
Immagino la Società come uno spazio orizzontale, dove tutti sono sullo stesso piano e godono degli stessi diritti. Le piramidi sociali e le gerarchie appartengo ad un tempo che per forza di cose è destinato a tramontare, e tanto più sarà l'impegno profuso nell'abolizione di questo stato di cose, tanto più il cambiamento sarà rapido.
Il Partito dei Comunisti Italiani di Melfi esprime solidarietà alla lotta degli operai della Fiat e annuncia la sua partecipazione alla manifestazione organizzata dalla FIOM che si terrà domani, 16 luglio alle ore 9.30, in Piazza Abele Mancini.
¡Venceremos!
Maurizio Ceccio.
venerdì 9 luglio 2010
Melfi, rappresaglia della Fiat contro gli scioperi
Tre lettere di sospensione cautelare a due delegati fiom e a un operaio
mercoledì 7 luglio 2010
«Italiani, ribellatevi. O sarete responsabili come nelle colonie»
di Dagmawi Yimer
Mi appello al governo italiano e a quello libico, in nome di tutti gli eritrei, i somali e gli etiopi che in questo momento stanno soffrendo in Libia. So benissimo cosa vuol dire essere nelle mani della polizia libica. Uso le ultime parole che mi rimangono, perché anche le parole finiscono quando non avviene nessun cambiamento. Io l’ho vissuto sulla mia pelle: i maltrattamenti nelle carceri libiche, gli schiaffi, le bastonate, gli insulti dei poliziotti libici. Anche io sono stato deportato dentro un container, durante un giorno e mezzo di viaggio, verso il carcere di Kufrah, con altre 110 persone, ammucchiate come sardine. Con noi c’erano anche otto donne e un bambino eritreo di quattro anni. Si chiamava Adam. Chissà che fine ha fatto quel bambino, chissà se è riuscito a salvarsi dalla trappola italo libica, chissà se sua mamma non è stata violentata dai poliziotti libici davanti a lui… Se è sopravvissuto, ormai avrà otto anni, e comincerà a capire piano piano che razza di mondo è riservato a lui e a tanti altri come lui.
Veniamo da paesi dove l’Italia non ha ancora fatto i conti con i suoi massacri durante il periodo coloniale e dove ancora oggi, dopo mezzo secolo, usa i libici per combattere gli eritrei, come all’epoca delle colonie usava gli eritrei per combattere i libici. È vero che la libertà di questi miei fratelli minaccia il benessere dei cittadini europei? È vero quindi che un accordo per il gas e il petrolio vale di più delle vite umane e della loro libertà naturale? Perché l’Italia, da paese civile, non ha previsto nell’accordo con la Libia il minimo rispetto dei diritti “inviolabili” degli esseri umani invece di chiudere un occhio e vantarsi di aver bloccato l’emigrazione via mare? Mi ricorda la stessa ipocrisia con cui Mussolini fece credere al suo popolo che l’Italia avesse stravinto sugli abissini senza dire nulla sui mezzi che avevano portato a quelle vittorie, ovvero tonnellate e tonnellate di gas utilizzate senza pietà per sterminare i civili. Il tono del governo è lo stesso, oggi come allora, ed è la stessa la reazione della gente.
Se ripenso a Adam il bambino di quattro anni che era con noi sul container, mi chiedo: quale era la sua colpa? Mi ricordo che ogni tanto l’autista del container (Iveco) si fermava per mangiare o per i suoi bisogni, mentre 110 persone urlavano per il caldo infernale del Sahara, per la mancanza d’aria, che a malapena entrava mentre il camion era in movimento. Il piccolo Adam lo tenevamo vicino al buco da dove entrava un po’ d’aria da respirare… mentre chi si trovava in fondo al container si agitava disperatamente, urlava, piangeva. È possibile vedere ancora deportazioni di massa dentro i container?
Quando ci hanno arrestato poi, i libici non ci hanno chiesto perché fossimo in Libia e cosa volessimo. Eravamo semplicemente la preda dei poliziotti, eravamo donne da stuprare e uomini da bastonare. Pochi giorni fa ho incontrato una persona che lavora a Tripoli e mi ha detto che tra gli ultimi respinti in mare verso la Libia c’era una ragazza di 22 anni che è stata violentata dai poliziotti libici appena arrestata. Alla fine è riuscita a evadere, corrompendo una guardia, ma ora è incinta e non vuole far nascere un figliastro di cui non conosce nemmeno il padre… Perché tutto questa indifferenza verso la sofferenza degli altri, oltretutto provocata dall’Italia stessa? Dov’è la “civiltà” di un paese che finanzia un soggetto terzo per eseguire il lavoro sporco e lavarsene le mani come Pilato? Quando smetterà l’Italia di essere il “mandante” di queste violenze?
Guarda caso poi, dopo la “deportazione” i poliziotti libici ci vendettero per 30 dinari a testa (circa 18 euro) agli intermediari che poi ci riportarono sulla costa.
Anche noi abbiamo dei genitori che piangono pensando alle sofferenze che viviamo. Ma anche noi avremo giustizia per tutto quello che stiamo subendo. Oggi paghiamo il prezzo che i vostri governi hanno deciso di pagare per far godere al “popolo” la sicurezza energetica. Ma le lacrime e il sangue versato non saranno dimenticati. Uso le ultime parole che mi sono rimaste, l’ultima energia dopo due anni di battaglia su questo tema ma spero di poterlo avere ancora. Ho girato l’Italia, partecipando a centinaia di incontri e di proiezioni (di “Come un uomo sulla terra”, ndr.) e ringrazio tutti coloro che mi hanno fatto vedere la loro indignazione e la loro vergogna di essere rappresentati da questi governi ipocriti.
Ma mi chiedo: se io che grido da qui non ho ascolto, figuriamoci i miei fratelli che stanno nella bocca del lupo. Ma continuo a gridare lo stesso e dico: Italia tu che sei civile e potente guarda queste persone e ricordati cosa hai fatto ai loro nonni.
Riceviamo e raccogliamo l’appello per salvare i deportati eritrei in Libia.
Chiediamo di sottoscriverlo, inviando una mail al Ministro dell’Interno Maroni – liberta.civiliimmigrazione@interno.it – perché la legga e la inoltri al resto del governo.
Questo il testo:
“Io (nome e cognome) sono convinto che un Paese civile non possa essere complice di un delitto contro l’umanità. Fermate il massacro dei prigionieri eritrei in Libia”.
[Fonte: Federazione della Sinistra]