venerdì 18 giugno 2010

Sciopera la Sevel, Fiom primo sindacato a Melfi

di Roberto Farneti - fonte [Liberazione.it]

L’accordo taglia-diritti imposto a Pomigliano d’Arco con la minaccia della chiusura dello stabilimento rischia di trasformarsi in una vittoria di Pirro per la Fiat. Le prime reazioni che stanno giungendo dalle altre fabbriche del gruppo, a partire dalla clamorosa affermazione della Fiom Cgil nelle elezioni delle Rsu alla Sata di Melfi, sono l’antipasto che conferma il famoso detto “chi semina vento raccoglie tempesta”. Certo, è probabile che la casa torinese, come auspica il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, riesca a estorcere il Sì della maggioranza dei lavoratori nel referendum-truffa che si terrà il 22 giugno. Del resto, quale altro risultato può esserci quando la domanda a cui devi rispondere è «vuoi lavorare o ti chiudo la fabbrica?». Come faccia l’ex segretario del Pd Walter Veltroni a dichiarare al <+Cors>Corriere della Sera<+Tondo> che questo non è un ricatto, rimane un mistero. Tra l’altro l’azienda, per agevolare la partecipazione al voto, ha deciso di sospendere la cassa integrazione solo per quel giorno, richiamando al lavoro tutti i 5.200 dipendenti.

Dopodiché, un manager che crede di essere moderno, come Sergio Marchionne, dovrebbe sapere che l’arma del ricatto può anche funzionare, specie in certi contesti, ma ti si può pure ritorcere contro, come sta già accadendo. Nemmeno agli altri operai della Fiat, infatti, piace la dieta “ottocentesca” prescritta dall’azienda per aumentare la produttività di Pomigliano (niente scioperi, taglio della pausa mensa, giorni di malattia pagati a discrezione della Fiat). E così ieri lo stabilimento Sevel di Atessa (Chieti), in Val di Sangro, si è fermato per due ore in ciascuno dei tre turni. Lo sciopero proclamato dalla Fiom ha visto, nel primo turno, l’adesione del 60% degli addetti alla lastratura e dell’80% degli addetti al montaggio. Prosegue intanto a Mirafiori la raccolta di firme contro l’accordo separato: in due giorni solo alle Carrozzerie - riferisce la Fiom - sono già state registrate oltre duemila e cinquecento adesioni. Un’analoga iniziativa è stata avviata nello stabilimento di Cassino.

«La Fiat dovrebbe cominciare a capire - spiega Fauso Durante della Fiom - che quella della cancellazione dei diritti è una via impercorribile. Per vincere la battaglia della competizione globale, una grande impresa moderna ha bisogno, innanzitutto, del consenso dei suoi dipendenti. Consenso che per l’Azienda è impossibile ottenere se non agisce per creare un clima cooperativo».

Il paradosso è che, con il suo atteggiamento da padrone delle ferriere, Marchionne rischia di rafforzare proprio quelle organizzazioni sindacali, come la Fiom, che dimostrano di voler difendere i diritti dei lavoratori con maggiore determinazione. Il risultato di Melfi è, a questo proposito, assai indicativo: con 18 delegati e 1.377 preferenze le tute blu Cgil sono tornate a essere nuovamente il primo sindacato dello stabilimento lucano, avendo ottenuto un delegato e venti voti in più della Uilm. «I lavoratori - ha spiegato il segretario regionale della Fiom, Emanuele De Nicola - hanno riconosciuto l’azione messa in campo dalla Fiom in una fase molto delicata che sta attraversando la Fiat, e che ha però visto in questi anni la mancata partecipazione degli operai alla contrattazione. Sono stati firmati diversi accordi separati, che hanno peggiorato la condizione dei lavoratori stessi, senza lo svolgimento di assemblee sindacali e senza votazioni». Sul voto ha pesato anche la vicenda di Pomigliano «che rappresenta un campanello di allarme - sottolinea De Nicola - anche per Melfi, perchè rischia di essere un ritorno alla fase precedente il 2004, quando la lotta dei “21 giorni” aveva equiparato lo stabilimento lucano al resto del gruppo Fiat».

Sentono puzza di bruciato le altre organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo per Pomigliano e che ora temono di perdere consensi: «Non è vero che l’intesa lede diritti sindacali, tanto meno li elimina. Al contrario, garantisce posti di lavoro e sviluppo», dichiara Giovanni Centrella. Forse il segretario generale dell’Ugl farebbe meglio a leggersi bene l’accordo. Ad esempio il punto 15, dove c’è scritto chiaramente che «la violazione da parte del singolo lavoratore di una» delle clausole che lo compongono «costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell’efficacia nei suoi confronti delle altre clausole». Tradotto: chi “sgarra” - e quindi anche chi sciopera - è licenziabile.

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