Articolo comparso su Officina, periodio di cultura e politico della città di Melfi, sul numero di novembre/dicembre 2008.
L’inizio dell’articolo 34 della Carta Costituzionale Italiana recita così: “La scuola è aperta a tutti.”
Sessant’ anni dopo la sua entrata in vigore, il IV governo Berlusconi, affonda un altro, ennesimo, pesante colpo alla libertà individuale dei cittadini, e in questo caso, a quella degli studenti. E lo fa con una legge, la numero 137/08, nota anche come Decreto Gelmini. Per fare un breve riassunto, la legge prevede soprattutto il “riassetto” della scuola primaria di primo e secondo grado (rispettivamente la “vecchia” scuola elementare e la “vecchia” scuola media) e dell’Università, anche se le disposizioni economiche per quest’ultima sono contenute nella Legge 133 del 6 Agosto 2008.
Ormai è convenzione che quando bisogna preservare il “tesoro dello Stato”, i Pirati del Parlamento “risparmino” sull’Istruzione. Perché è di risparmio che si parla e non di riforma.
Essendo, chi vi scrive, uno studente universitario precario (meglio iniziare da subito certe “esperienze”) vedremo i punti salienti della legge 133/08 che titola:
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria".
Dunque una legge di stampo economico-finaziaria che prevede:
· Tagli per 1.441,5 milioni di euro al Fondo di Finanziamento Ordinario (fonte principale per le entrate delle Università statali) nel quinquennio 2009-2013;
· Blocco del turn-over (ossia la possibilità di assumere nuovo personale ogni 5 posti vacanti) del 20% dal 2009 al 2011 e del 50% per il 2012.
· Possibilità di trasformare le Università in Fondazioni private (possibilità incentivate anche da agevolazioni fiscali per chi deciderà di finanziare le Fondazioni).
È inutile dire che con questa operazione si sta cercando di porre le Università sotto il controllo, ormai ossessivo e onnipresente, dell’ economia.
La strategia è questa: diminuire il finanziamento pubblico alle Università statali, in modo che queste vadano in rovina e siano costrette, per ovvi motivi, a tagliare posti di lavoro, ad assumere personale con una percentuale molto prossima allo 0% della domanda e a diventare Fondazioni private, quindi strutture gestite con i fondi di privati.
Tutto questo a scapito di giovani ricercatori e studenti, che si vedono limitata la libertà di accesso all’ultimo grado distruzione. Infatti Fondazione è sinonimo di aumento delle rette universitarie; queste potranno essere gestite dalle Fondazioni a proprio piacimento e ciò comporterà che le famiglie con un alto reddito potranno continuare a mandare i propri figli all’Università/Fondazione, mentre per chi apparterà allo scalino più basso della “gerarchia sociale”, ci sarà (se ci sarà) una università pubblica, ma ridotta ai minimi termini. Perciò il figlio del dottore, farà il dottore. Il figlio dell’operaio? Sicuramente non farà nemmeno l’operaio, visto i livelli di assunzione nelle fabbriche. Ma in una società così selettiva ed elitaria, come quella nostra contemporanea, non abbiamo il tempo per pensare al benessere di tutti. Per questo ci concentriamo su chi il benessere già ce l’ha. È più facile, no?
Ma non solo. Essendo le Fondazioni, gestite dai grandi poteri economici viene minata quella che è la libertà di ricerca, che verrebbe asservita al potere economico e alle logiche del profitto; quindi una ricerca fine soltanto alle logiche di mercato e non fine alla ricerca in quanto tale.
Ora una osservazione è d’obbligo: non vi sembra che tutto questo ricordi molto il modello Statunitense? Premesso che sono molto entusiasta dell’elezione di Barack Obama a 44° Presidente degli Stati Uniti d’America (spero rivoluzioni l’America e con essa le sorti del pianeta), non posso non essere critico, d’ altra parte, su quel fenomeno conosciuto con il nome di “americanizzazione”. Ora non per fare la polemica, ma quando si dice “l’Italia non è l’America” non è un caso. La nostra storia è diversa dalla loro storia, la nostra economia è diversa dalla loro economia e quindi la nostra società è diversa dalla loro società. Per questo io mi chiedo: perché dobbiamo a tutti i costi fare nostra una esperienza che nostra non è? Il nostro sistema Universitario ha sicuramente bisogno di essere riformato, ma non importando modelli dall’estero, bensì lavorando con chi nella scuola ci vive e lavora. Perché non possiamo creare un sistema universitario tutto nostro, che risponde alle nostre caratteristiche di economia e società? È così difficile lavorare, veramente, per il bene reale dei cittadini, in questo caso studenti? I miei ventidue anni non vogliono rassegnarsi ad un mondo già scritto, pre-impostato, non posso e non voglio credere che la situazione resterà questa perché è davvero sconfortante. Voglio crede piuttosto che il mio futuro di studente e lavoratore sia nelle mie mani, e che nelle mani di ogni altro ci sia il proprio avvenire. Dobbiamo lottare fino in fondo, perché a tutti sia garantito di competere nella società con le stesse possibilità “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.” (estratto del II articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)
In conclusione vorrei ringraziare l’associazione Officina che ha permesso a me, un giovane studente precario, di scrivere il mio pensiero e di condividerlo con chiunque abbia avuto la bontà di leggerlo.
Grazie.
Maurizio Ceccio.
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