Articolo comparso su Officina, periodico di cultura e politica della città di Melfi, sul numero di gennaio/febbraio 2009 con il titolo "Melfi, i giovani e...la politica"
Se provate a chiedere ad un ragazzo della nostra città: “ Hai fiducia nei politici e nella politica della tua città?” Avrete come risposta: “Assolutamente no! I politici pensano solo ai fatti loro”.
D'altronde come dargli torto. Nell’era del caos e del trasformismo è difficile distinguere i politici disonesti da quelli (ammesso che ce ne siano) che lavorano realmente nell’ interesse dei cittadini.
POLITICA secondo l’etimologia della parola, e stando anche ad un’antica definizione scolastica , significa “Arte di governare la società”. E se così fosse, i nostri politici dovrebbero essere, quindi, gli “artisti” capaci di incarnare quest’ arte? Bene. Allora siano pronti, lor signori, a ed esser così sottoposti alla critica dei più severi giudici “d’arte”: i giovani!
In questo momento storico cosa pensano i ragazzi della politica?
Basti vedere il livello di militanza che c’è all’interno dei partiti o associazioni politiche per rendersi conto del fatto che ai giovani la politica interessa sempre meno: “Tanto non cambia mai nulla. Ormai il sistema di potere è impossibile da smantellare. Destra o sinistra? Sono tutti uguali!”.
Queste le voci di molti ragazzi, della nostra città, sfiduciati da questa politica nostrana (o un po’ strana?).
“A Melfi? La politica si fa solo in campagna elettorale” secondo Michele di 21 anni.
“Dicono che il futuro è in mano a noi nuove generazioni, che saremo noi la classe dirigente di domani, ma fino ad ora nessun reale passaggio del testimone” dice Alessandro, 28 anni.
C’è chi lamenta la mancata attenzione da parte della politica cittadina nei confronti di chi ha interessi un po’ diversi, come la passione per la musica, il teatro o il cinema.
Per Dario, 33 anni, Melfi più che una cittadina democratica, somiglia più ad un’ oligarchia“perché l’amministrazione comunale decreta, e dispone e l’opposizione, sempre che esista, guarda, ascolta, molto spesso annuisce, senza batter ciglio” e ancora“Come faccio a fidarmi della politica, se gli interessi privati tagliano trasversalmente tutti gli schieramenti politici?”. E potrei continuare ancora citando Luigi, Alfonso, Francesco, Antonio, sentireste sempre la solita frase: “Destra o sinistra, sono tutti uguali”.
E alla domanda: “Perché, allora, non iniziare a fare politica attiva?” si pone un duplice problema: in primis, Melfi soffre mortalmente della carenza di strutture, perché oltre a difettare di cinema e teatro (e non mi citate il Ruggero sennò sono guai), manca di veri e propri centri di aggregazione giovanile, dove poter formare una propria coscienza politica e sociale, dove poter ritrovare il contatto umano con le altre persone, sentire opinioni diverse, esporre le proprie idee, confrontarsi mettendosi in gioco, scoprire capacità nascoste che non si credeva di possedere. Insomma manca un Centro Sociale! Ma tutto questo non sembra interessare la politica melfitana. Marciapiedi, manti stradali, aiuole quante ne volete, ma per piacere niente Centro Sociale.
E per alcuni ancora non è chiaro come mai molti ragazzi non credono nella politica: “I giovani di oggi? Sono disinteressati. Noi alla loro età eravamo tutto un fermento. Credevamo in qualcosa, noi!” mentre questi giovani non credono nella possibilità di un cambiamento, di una svolta, sono sfiduciati, timorosi di essere usati come semplice strumento di propaganda in mano a vecchi politici. Antonio, 19 anni, mi fa notare come durante le scorse elezioni amministrative, le due coalizioni antagoniste, andassero “a caccia” di giovani ragazzi da candidare nelle rispettive fila: “Abbiamo candidato anche dei giovani ragazzi”bofonchiavano alcuni, tutti contenti, illudendosi che questi giovani candidati avrebbero ricevuto magari il voto dei propri amici. Magari poi quegli amici hanno le proprie idee o simpatie politiche, magari lavorano per qualcuno vicino al candidato opposto a quello in cui è candidato il proprio amico con il risultato che: o non vanno a votare (per non correre rischi), o votano per l’avversario (per continuare a lavorare tranquilli). E qual è stato il risultato? Il risultato è stato che quei (poveri) ragazzi sono serviti a fare numero e a portare il voto (anche se misero perché tutto fa brodo) dei propri cari, che in quell’occasione avranno votato in massa, cercando di far tornare magari anche qualche parente migrante per far ottenere al proprio caro ragazzo un risultato dignitoso.
Scherzi a parte, finite le elezioni cosa succede alle aspettative magari di quel ragazzo che, perché no, aveva anche creduto in quel progetto politico? Tutto ritorna alla normalità e finisce che la persona per la quale eri candidato non ti riconosce nemmeno per strada. E giustamente si perde la fiducia nella politica con il conseguente allontanamento da essa e con la solita frase “Sono tutti uguali. La politica è diventato lo strumento tramite il quale i politici curano i propri interessi e quelli dei propri eletti” e, si badi bene, non degli elettori.
Si smorza così la voglia e la passione di quelle ragazze e di quei ragazzi che vogliono fare politica, ma non sono interessati a far parte di questo sistema marcio.
A questo proposito, se mi è permesso, vorrei fare una piccola considerazione.
La mia città, la nostra città, rischia di sprofondare nella paralisi più nera. Se è vero che l’evoluzione di una società si misura in base al livello culturale che questa ha raggiunto, la nostra città è ancora un embrione. Ai ragazzi, miei coetanei, senza nessuna presunzione, dico di essere disincantati, di fare politica sempre e comunque, ma che questo non significhi darsi da fare solo per portare voti e solo in occasione delle scadenze elettorali, ma bensì lavorare seriamente, con coerenza e onestà, affinché il vento cambi e porti con se una società più giusta. Pretendete di fare politica e di avere il diritto di decidere del vostro futuro. Non importa la fazione politica, la cosa importante è trovare il coraggio di abbracciare una ideologia (perché non è vero che queste sono morte, come qualcuno sostiene, ma anzi sono vive più che mai) ed essere coerenti con questa. Bisogna che le nostre generazioni lavorino affinché politica e interessi viaggino su due line parallele.
Il nostro contesto storico ci vuole filantropi, innamorati disinteressatamente della nostra città e patria. In conclusione vorrei citare un piccolo grande uomo, Mahatma Gandhi, che diceva:“Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.” E così sia.
Maurizio Ceccio.